Case e terreni tornano nelle mani di Fabbrocino

Tolti i sigilli ai beni che erano stati sequestrati per la truffa sui contributi pubblici La prescrizione “salva” tutti gli imputati dall’accusa di aver raggirato lo Stato

AGROPOLI. Fracescantonio Fabbrocino torna in possesso dei beni che gli erano stati sequestrati per l’accusa di truffa sulle agevolazioni alle imprese. Il nipote del boss napoletano Mario, da anni residente ad Agropoli, ha chiuso il processo per avvenuto decorso della prescrizione. Il giudice Enrichetta Cioffi ha accolto la richiesta dei difensori Felice Lentini e Carlo Di Ruocco e ha dichiarato estinto il reato sia per Fabbrocino che per gli altri imputati, che secondo l’accusa gli avrebbero fatto da prestanome o comunque lo avrebbero aiutato nella truffa: Giuseppe Maiuri, Eugenio Nigro, Cosimo Paolino. Il nipote del boss torna quindi in possesso di un fabbricato e di due terreni, tutti nella frazione Santa Maria del comune di Castellabate.

I fatti risalgono al 2006, quando fu incassato secondo gli inquirenti l’ultimo contributo non dovuto o che poi non è stato restituito. I finanziamenti pubblici erano quelli della “legge Sabatini” e della legge 662 del 1996, che istituiva un fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Secondo l’accusa le aziende che facevano capo a Fabbrocino avevano percepito indebitamente più di 3 milioni di euro, soldi che giustificavano il sequestro dei beni. La vicenda è venuta allo scoperto solo nel 2012, con un blitz del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza che metteva i sigilli a un patrimonio di circa quaranta milioni di euro. Oltre alla truffa ai danni dello Stato per l’erogazione dei contributi, a Fabbrocino e altri presunti complici si contestano infatti ulteriori reati per i quali i processi sono ancora in corso. Tra questi la bancarotta di alcune società e la pratica dell’intestazione fittizia che, con la complicità di prestanome, sarebbe stata adottata nel tentativo di sottrarre i beni ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Anche i proventi delle erogazioni di denaro pubblico dovevano essere mascherati attraverso lo schermo di prestanome . Secondo le indagini i profitti delle attività di Fabbrocino erano stati “polverizzati in mille rivoli”, in apparenza indipendenti l’uno dall’altro ma che in realtà andavano tutti a confluire nel patrimonio intestato ai prestanome. Un patrimonio che per la Procura faceva capo, per intero, al nipote del boss.

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