Casa Rossi mai usata come un centro di sostegno per ciechi

L’immobile era stato donato con questa precisa finalità ma il Comune ha fittato i locali ad altri enti e associazioni

L’inizio della storia sembra quello di altri tempi: un marchese, figlio di un nobile cieco, ha lasciato in eredità al Comune un antico palazzo di sua proprietà da destinare a struttura sociosanitaria per non vedenti.

Il finale, invece, è tutto ancora da scrivere perché di quella antica proprietà l’Ente comunale ha preferito servirsene fittando i locali a terzi. Ora c’è chi è intenzionato a far luce sulla vicenda per far sì che le volontà testamentarie del marchese vengano rispettate. L’immobile in questione è quello di via Pasquale Atenolfi, noto ai più come “Casa Rossi”, pervenuto all’Ente a seguito di donazione con testamento olografo del marchese Domenico Rossi (figlio di Gennaro Rossi, che qui visse i suoi ultimi anni da cieco) e destinato per sua volontà – come si legge nel documento – «con l’onere di costituire una succursale per il ricovero dei ciechi ambo i sessi nativi e domiciliati nel Comune di Cava de’ Tirreni». Negli anni però non s’è mai rispettata la volontà del marchese e a sollecitare l’attuale amministrazione a procedere in tal senso è stato anche il consigliere Massimiliano di Matteo. Il compendio immobiliare, infatti, è stato solo di recente liberato dall’unico ente di interesse pubblico che l’occupava (l’Ausino). Tuttavia alcuni locali sono ancora gestiti da un noto centro di radiologia. Di attività sociosanitarie per non vedenti, però, nemmeno l’ombra. Tra le altre cose, inoltre, Casa Rossi figura tra gli immobili i cui occupanti sarebbero in posizione debitoria nei confronti del Comune. Proprio di Matteo, negli ultimi giorni è tornato sulla questione, sollecitando il consigliere comunale delegato al patrimonio (Anna Padovano Sorrentino) ad avviare tutti gli accertamenti del caso per calcolare l’entità debitoria, il valore effettivo dell’immobile e le entrate che dovrebbe fruttare al Comune.

«Fin quando non c’è affinità con le volontà del donatore – tdice Di Matteo – si chiama, al mio paese, appropriazione indebita. I potenziali introiti di quell’immobile potrebbero aiutare i servizi sociali e quelli a favore dei diversamente abili, da sempre settori a corto di risorse. L’amministrazione ha l’obbligo di fare un conteggio puntuale di quelli che sono i soldi che l’Ente confluisce nel capitolo del bilancio e, se non intende usarli per i servizi sociali deve convocare gli eredi del marchese Rossi e chiedere a loro come vogliono destinare le somme».

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