Cardinali ricattati all’Apsa «Il clero copriva gli abusi»

Rivelazioni choc nella lettera inviata al papa da don Nunzio Scarano il 20 luglio Il monsignore: «Mai favorito i D’Amico, sono solo dei grandi benefattori»

«Spero solo di poterle consegnare segretamente il mio plico di documenti che rafforzano fortemente il Suo grande e coraggioso operato per riordinare finalmente la triste realtà amministrativa, economica e finanziaria della Santa Sede e tutti gli abusi annessi e connessi». Sembra che monsignor Nunzio Scarano, nella lettera inviata a papa Bergoglio lo scorso 20 luglio dal carcere romano di Regina Caeli, abbia tutta l’intenzione di “vuotare il sacco”. Forse meglio dire, per usare un adagio ancora più appropriato al caso, che il prelato vuole “togliersi le pietre da dentro le scarpe”. Tante, appuntite e oltremodo fastidiose.

Nella lunga missiva che, in alcuni tratti ha il sapore di un memoriale, il sacerdote salernitano, in carcere dal 28 giugno scorso con l’accusa di corruzione e calunnia per il tentativo di riportare in Italia dalla Svizzera 20 milioni di euro, ci va giù pesante contro i suoi “colleghi”: Scarano fa più volte riferimento alle «battaglie fatte contro l’abuso dei miei superiori laici, ben coperti e protetti da alcuni signori cardinali». Parlando dei cardinali li definisce come «i famosi scheletri degli armadi, ben ricattati, usati e gestiti dai miei superiori laici».

E ancora, sui presunti illeciti all’interno dell’Apsa: «Chiesi aiuto al cardinale Stanislao Dziwisz, segretario personale del beato Giovanni Paolo II e udienza al cardinale Angelo Sodano - scrive Scarano - io presso l’Apsa, sezione straordinaria, ero l’unico prete e ben poco mi era consentito fare». Nella lettera il religioso puntualizza che pur avendo chiesto udienza a Sodano, l’astuto e furbo monsignor Giorgio Stoppa riuscì a non farmi ricevere e per giunta punirmi, spostandomi in altro ufficio e facendomi continuamente controllare». «Perché?» si chiede, quindi, il monsignore nella lettera di tre pagine nella quale precisa a papa Francesco di avere «vissuto sempre con dignità il mio ministero sacerdotale, cercando di aiutare tutti coloro che chiedevano aiuto».

Don Nunzio respinge, così, tutte le accuse a lui mosse, anche quella di aver favorito gli armatori salernitani D’Amico.

La lettera infatti si chiude con un post scriptum dove è spiegato: «Santità, presso lo Ior non esiste nessun conto corrente cointestato con l’armatore Cesare D’Amico e mai mi hanno fatto simile richiesta». Nella stessa lettera gli armatori D’Amico vengono descritti come dei «benefattori»: «Tutto il denaro ricevuto come donazione dagli armatori D’Amico, Paolo e Cesare, famiglia nella quale io sono cresciuto fin dalla mia prima giovinezza - sottolinea il monsignore - ho ricevuto sempre e soltanto da loro bonifici su conto corrente fondo artigiani, con il cui denaro è stata realizzata a Salerno la casa dei vecchi abbandonati e senza fissa dimora, circa 70 camere da letto, poi successivamente, presso il seminari Giovanni Paolo II, furono donati da me con gli armatori D’Amico, i campi sportivi, un viale alberato e gli spogliatoi». Infine: «Le mie operazioni bancarie presso lo Ior - conclude il presule - sono state sempre fatte sotto consiglio della direzione dei signori dirigenti e giammai ho abusato di cortesie o cose di altro genere. Sempre tutto secondo al legge canonica dello Ior». E poi aggiunge: «Santità ho sempre servito la Chiesa e non mi sono mai servito di essa con animo sacerdotale e vero».

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