Camorra e politica a Pagani Da un pentito l’input alle indagini

Al processo “Criniera” ascoltato De Salvo, dirigente del commissariato di Nocera e poi della Mobile a Salerno «Partimmo dalle dichiarazioni del collaboratore angrese Selvino per arrivare ai Contaldo e ai Petrosino»

PAGANI. Dal clan Contaldo all’egemonia del gruppo Fezza-D’Auria Petrosino, il processo Criniera, che ha ricostruito i rapporti tra camorra e politica a Pagani, oltre a tentare un primo approccio giudiziario nell’organizzazione di camorra della Lamia dal 2003-2004 in poi, entra finalmente nel vivo. La prima ricostruzione si è svolta ieri in aula, con la deposizione dell’ex capo della Dia di Salerno, Claudio De Salvo, già vicequestore a Nocera Inferiore al commissariato e poi dirigente della Squadra mobile di Salerno, titolare di una delle tre informative che sono il cuore della maxi indagine della Procura distrettuale di Salerno.
«Partimmo dalle dichiarazioni del pentito angrese Pietro Selvino, arrivando ai gruppi paganesi, con i Contaldo e i Petrosino a contendersi l’egemonia. Di fatto per i primi c’era Nicola Fiore, “Pallino”, e pochi altri. Contro il trittico costituito da Gioacchino Petrosino D’Auria, alias “spara spara” , e i figli Antonio e Michele».
Sono gli anni dei tentativi di uccidere l’ultimo esponente dei Contaldo, Fiore, capace di sfuggire a diversi agguati, ultimo quello costato la vita ad Alfonso Quaranta, ucciso dal fuoco dei killer al Quadrivio di Campagna. «Antonio e Gioacchino erano stati al centro di un attentato a Pagani nel novembre 2003 - ha ricordato De Salvo - per quell’episodio furono condannati Fiore, Bombardino e alcuni del clan Belforte. A quel punto i D’Auria divennero presenza esclusiva nel territorio paganese, con interessi in attività imprenditoriali, nella gestione dell’ortofrutta e del trasporto su gomma. Ci furono spari contro Francesco Oliva, un autotrasportatore. Poi investigammo sulla Multiservice e sull’Agency service, di fatto controllata dai Petrosino. Erano gli anni dell’attentato incendiario all’auto del politico Alfonso Giorgio e dell’intimidazione all’attivista-blogger Valerio Damiano, che riprese una seduta del Consiglio comunale».
Le ricostruzioni sono il punto di partenza di un lavoro imponente, su cui gli avvocati hanno affilato le armi fin da subito, puntando a ridimensionare le accuse. Con uno scacchiere difensivo modificato ancora ieri. Antonio Petrosino D’Auria ha revocato il professore Giuseppe Della Monica nominando di nuovo il suo storico difensore, Silvana D’Ambrosi, ieri in aula, così come Francesco Fezza, che ha invece scelto Della Monica. A completare il quadro, con il pm Montemurro a condurre il dibattimento davanti al collegio che si compone del presidente Rossetti, con a latere Di Filippo e la dottoressa Anna Allegro, già a presiedere il processo “Linea d’ombra”, c’è la richiesta del boss Tommaso Fezza, “’O furmaggiaro”, patriarca del clan ora all’ergastolo. «Vengo continuamente calunniato - ha spiegato in videoconferenza - vorrei venire in aula perché di questo processo non capisco niente».
Alfonso T. Guerritore
©RIPRODUZIONE RISERVATA