Camorra al mercato ittico «Comandano gli stabiesi» 

La Dda chiede il processo per diciassette indagati legati al clan D’Alessandro Gestivano stand di pesce all’ingrosso estromettendo gli imprenditori locali

C’era la camorra al mercato ittico di Salerno. Clan di Castellammare di Stabia e Torre Annunziata che avevano messo le mani su alcune aziende locali e imponevano la loro merce e i loro uomini, di fatto sostituendosi in tutto ai proprietari e riducendoli al ruolo di prestanome. È ricostruendo questo scenario che il sostituto procuratore antimafia Vincenzo Montemurro ha chiesto il rinvio a giudizio per 17 persone, vertici e complici del sodalizio stabiese dei D’Alessandro e di quello oplontino dei Gallo/Cavalieri.
Le accuse vanno dal riciclaggio e dal reimpiego di capitali illeciti (per i membri dei clan) al concorso in intestazione fittizia di beni, per gli altri imputati. L’udienza preliminare si terrà agli inizi di luglio, quando davanti al gup saranno ripercorse le tappe di un’inchiesta che ha svelato i veri interessi che si sarebbero celati dietro ad almeno tre postazioni del mercato del pesce all’ingrosso. L’infiltrazione camorristica avveniva di regola con l’imposizione di dipendenti, che poi finivano per assumere la direzione delle attività e rispondevano agli ordini dei clan. Così si ritiene sia avvenuto, ad esempio, per un’azienda della Valle dell’Irno, che nel giugno del 2012 assunse con il ruolo di contabile Valeria Girace, cognata del boss Michele D’Alessandro che dal carcere, tramite la moglie Giovanna Girace, continuava a reggere le fila del clan di Castellammare. Giorno dopo giorno il vero proprietario fu messo nell’angolo, mentre la gestione passava di fatto nelle mani della Girace e dei suoi familiari, che un anno dopo avrebbero imposto anche l’assunzione di Antonio Verdoliva di Boscoreale e l’impiego di personale ritenuto di loro fiducia, tra cui il salernitano Giuseppe Ragone. Lo stesso sistema risulta adottato per un’azienda irpinia finita nell’orbita di Nunzio Palumbo di Torre Annunziata. Già condannato per associazione camorristica, quest’ultimo avrebbe esautorato l’amministratore della ditta, assumendone in toto la gestione ma senza uscire allo scoperto, evitando così l’adozione di misure di prevenzione patrimoniale. A lavorare per lui ci sarebbe stato tra gli altri un 51enne di Maiori, Antonio Esposito, che figurava alle dipendenze di un’agenzia interinale ma che per la Procura era consapevole degli interessi illeciti che si celavano dietro a quello stand mercatale. Sempre Nunzio Palumbo è stato poi individuato come il vero dominus della ditta New Oplonti srl, intestata a familiari e complici.
Nei primi passi delle indagini anche i due imprenditori di Irpinia e Valle dell’Irno erano finiti sotto inchiesta, ma verifiche e interrogatori hanno consentito di accertarne il ruolo di vittima. Rischia invece il rinvio a giudizio un militare della Guardia costiera, il salernitano Aniello Lambiase, che nel corso delle intercettazioni è stato sorpreso a rivelare a uno dei rivenditori il giorno in cui la Capitaneria di porto avrebbe effettuato i controlli nel mercato.
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