«Cambiare le città Ecco come fare»

De Luca al convegno con Bofill e De Masi detta sei regole «Certezza su chi decide e sulle risorse, stop ai comitati»

Alla fine, come era prevedibile, il critico d’arte Vittorio Sgarbi “ruba” la scena al convegno “Italia Viva” promosso dal Comune di Salerno. Lo ha fatto demolendo le opere di tutte le archistar che hanno lavorato a Salerno (da Chipperfild a Zaha Hadid); demolendo il progetto dell’Auditorium di Ravello e dunque il suo massimo promotore, il sociologo Domenico De Masi - presente al convegno - ma salvando, con un volo pindarico, il Crescent di Ricardo Bofill semplicemente perché «paragonato alla schifo di questo Palazzo di Città nel quale stiamo parlando mi sembra il problema minore».

Ad introdurre il lungo dibattito, dopo la presentazione dell’assessore all’Urbanistica Mimmo De Maio, il sindaco Vincenzo De Luca che ha lanciato i sei punti della “carta di Salerno”, sui quali ha invitato il nutrito parterre a riflette. Per il primo cittadino «la trasformazione urbana è un elemento essenziale della competitività di un Paese, della sua attrattività sulla scena mondiale e della possibilità di creare opportunità di vita per le nuove generazioni». Per questo motivo «bisogna evitare che l’Italia diventi come Pompei, che guardiamo con orgoglio ma che cade a pezzi».

De Luca dice bene quando afferma «che dietro l’alibi della “tutela”, è andata crescendo anche la sottocultura della “mummificazione” del territorio, il rifiuto, pregiudiziale del “costruito”. Occorre affermare che, anche in questo campo, la stratificazione culturale, la presenza di opere di diverso linguaggio architettonico, la modernità, sono una ricchezza per il paese».

Ed ancora, sul «groviglio normativo» il sindaco è perentorio: «Quando si rilascia un permesso a costruire, l’iter deve essere chiuso». Sul capitolo delle risorse: «Liberiamoci dal pregiudizio che il rapporto con i privati diventa un reato». Sui ricorsi: «Non possiamo stare fermi nella contemplazione» e il riferimento è al giudizio del Consiglio di Stato «al quale è stato fatto ricorso affinché espliciti meglio quello che voleva dire».

La mattinata si era aperta con la visita al plastico del fronte del mare che troneggiava nelle stanze del Comune e dove a turno gli invitati al convegno facevano staffetta. «In tutti i Paesi quando si effettuano interventi emblematici si alimentano polemiche» rispondeva ai cronisti l’architetto spagnolo. «Ma questa violenza - ha esclamato Bofill - non l’avevo mai vista fino ad ora. Dappertutto, da Parigi al Giappone - ha aggiunto l’architetto che ha progettato il Crescent - le opere emblematiche scatenano pareri controversi, animano i politici e le comunità. Questa è una cosa normale. Qui non so perché sta accadendo tutto ciò. Io so solo che, in collaborazione con il Comune, abbiamo lavorato su un progetto che è stato realizzato così come immaginato. Sarò soddisfatto solo quando lo vedrò finito». E sulla bocciatura al progetto piovuta direttamente dal Ministero dei beni culturali, Bofill replica: «Non entro nel merito. Io, comunque, amo il ministero dei beni culturali».

Ed è proprio questa la domanda: chi si assumerà la responsabilità di buttare giù l’opera di una archistar? Sgarbi, a microfoni spenti, annuisce e aggiunge, «se fossi stato ancora io sottosegretario al Ministero dei beni culturali non l’avrei mai fatto costruire». Il sociologo De Masi, chiama «provinciali» quelli che pongono il problema dell’integrazione con il territorio: «Non esiste un’architettura che si sposa con il territorio. Fare questo discorso sarebbe da provinciali. Avete mai visto - aggiunge - cose che si sposano con il territorio? San Pietro si sposa con il territorio? Se fosse esistita Italia Nostra a quell’epoca avrebbe fatto sicuramente ricorso al Tar. Sono convinto che un’opera nuova sia sempre una violazione del panorama. L’architettura è violazione della natura. È bella e brutta, serve o non serve. Il Crescent non è uno stile che amo, ma non è brutto. Almeno non è brutto per tutti, immagino che a riguardo ci sia dibattito».

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