«Calpestati i diritti dei lavoratori Yele» 

Vallo della Lucania: 30 dipendenti attendono undici mensilità: «La Regione non ha attuato la legge»

VALLO DELLA LUCANIA. Una trentina di dipendenti della Yele spa, tra tutti quelli per i quali è stata avviata lo scorso primo agosto la procedura di licenziamento collettivo, non sono passati di cantiere e chiedono al liquidatore Di Pietro, nominato dal tribunale delle imprese di Napoli, un acconto sulle 11 mensilità arretrate di stipendio.
A “la Città” parla uno di questi lavoratori: Maria Maiuri, che si rivolge direttamente a Vincenzo De Luca, «il quale – dice – non facendo attuare la legge regionale, da lui ripresa modificando la precedente varata dalla giunta Caldoro, in assenza delle norme che avrebbero tutelato i diritti giusti miei e degli altri lavoratori nella stessa situazione, ha permesso ai comuni di fare quello che volevano». La Maiuri, ex Corisa 4 assieme ad altri ricollocata alla Yele, parla di «mesi e mesi di diritti calpestati. Ci hanno leso la dignità costringendoci a vivere ai margini della sopravvivenza. Gli amici degli amici hanno ottenuto quello che volevano, mentre noi siamo stati letteralmente presi a calci, con i nostri diritti rimasti all’interno di norme inattuate».
Il paradosso della vicenda, secondo la lavoratrice, è che «nella procedura di licenziamento collettivo avviata dal liquidatore, mentre una parte dei colleghi interessati al provvedimento ha effettuato il passaggio di cantiere, io ed altri, tutelati sia dalla 26/2010 che della legge regionale 14/2016, siamo coinvolti in questo licenziamento collettivo, del quale non conosciamo l’evolversi; se, ad esempio, e quando potremmo beneficiare degli ammortizzatori sociali».
La rabbia dei lavoratori, oltre che per le 11 mensilità di stipendio arretrate, è data dal sapere di essere stati licenziati nonostante le tutele legislative «perché – accusa la Maiuri - la legge regionale è stata tenuta ferma volontariamente. Tutto ciò ha consentito ai comuni il “fai da te”, dal momento che non è stato costituito l’Ente d’ambito. Di conseguenza i passaggi di cantiere, anziché l’epilogo di un processo che sarebbe dovuto iniziare con gare bandite dall’ente d’ambito e controllate pubblicamente, sono andati nella maniera in cui abbiamo denunciato. Con la speranza che si concludano presto le indagini della Procura, per adesso il conto salato lo stiamo pagando solo noi. Ci siamo rivolti anche al ministro del lavoro, Di Maio. Non credo più nella politica, ma lancio un appello affinché qualcuno faccia finalmente la cosa giusta».
Vito Sansone
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