Caccia ai “fondi neri” dei D’Amico

Contenzioso in Svizzera sulla rogatoria della Procura per provare l’evasione fiscale. Veto delle società off shore

Negli atti svizzeri depositati ieri mattina al processo per monsignor Scarano, gli spazi bianchi pesano più delle righe scritte. Perché se da un lato la documentazione arrivata dagli elvetici conferma quanto gli inquirenti già sapevano (l’esistenza di un conto d’appoggio da cui i “benefattori” del prelato facevano transitare i soldi diretti allo Ior) dall’altro le reticenze sui conti delle quattro società off shore che la Procura attribuisce agli imprenditori D’Amico alimentano la pista investigativa di una maxi evasione fiscale. Ed è li, ai presunti fondi neri degli armatori salernitani, che il pubblico ministero Elena Guarino sta puntando, per dimostrare quel reato presupposto (l’illecita esportazione di capitali) su cui si regge l’impalcatura del processo per riciclaggio a carico del monsignore e 48 coimputati. Per questo – si è scoperto ieri – è sorto oltralpe un contenzioso giuridico che vede tre protagonisti: la Procura di Salerno, che chiede il dettaglio dei movimenti bancari e l’identità di chi si cela dietro le sigle societarie; l’istituto di credito, che si dice pronto alla consegna ma frappone la strenua opposizione degli interessati; e le società correntiste – la “parte”, come la definiscono gli svizzeri per oscurarne l’identità – che ha messo il veto sulla divulgazione dei dati. A decidere sarà un Tribunale civile, e la pronuncia sarà determinante non solo per le sorti del processo salernitano ma anche per l’appeal di una famiglia che è al vertice dell’imprenditoria italiana (il cavaliere Paolo D’Amico è stato presidente nazionale degli armatori) e gode a Salerno della cittadinanza onoraria per i lasciti in favore della Casa per anziani gestita da Salerno Solidale.

Secondo i calcoli degli inquirenti quella famiglia ha versato a don Nunzio Scarano 5 milioni di euro in sette anni, in parte da proprie provviste personali e in parte tramite società fantasma o con sedi all’estero, su cui pesa il sospetto di essere meri schermi di persone fisiche. I finanzieri del nucleo tributario ne hanno scovate quattro: due, la Ketas trading e la Interbroker, hanno sede nel paradiso fiscale delle isole Vergini britanniche; le altre, la Lennox Maritime Inc e la Cherry blossom, risultano invece sconosciute alle principali banche dati societarie mondiali. «Non si ha notizia alcuna non solo in ordine alla loro operatività e struttura societaria, ma addirittura alla loro esistenza» scrivono gli investigatori. Che le individuano quindi come società ghost, aziende fantasma messe in piedi solo come paravento per le operazioni di persone fisiche che vogliono restare nell’ombra. Per questo si chiede l’acceso completo ai loro conti svizzeri, che consentirebbe di risalire a chi, e come, ne muove i fili. Un’indagine parallela a quella già aperta dalla Procura di Roma (che sugli armatori indaga per l’ipotesi di evasione fiscale), e a cui un eventuale via libera delle autorità elvetiche darebbe la stura per accendere i riflettori su un patrimonio di centinaia di milioni.

La documentazione bancaria inserita ieri nel fascicolo processuale potrebbe essere soltanto il primo tassello di un mosaico che la Procura spera di riuscire a ricomporre anche grazie ai nuovi accordi italo-svizzeri. Ma è probabile che nel corso delle udienze (la prossima è fissata al 16 marzo) siano depositati anche altri documenti, come il verbale della commercialista Tiziana Cascone, che nell’operazione di riciclaggio per cui è a processo con Scarano ha tirato in ballo uno studio legale, un suo ex difensore e un funzionario dell’Agenzia delle entrate rimasti finora estranei alla lista degli indagati.

©RIPRODUZIONE RISERVATA