la dipendenza

«Bruciati più di 200mila euro nelle slot machine»

Il 56enne Francesco Cuozzo è riuscito a liberarsi dalla sua "malattia". Aveva trovato rifugio nel gioco d'azzardo dopo la fine del matrimonio

SALERNO. «Il primo passo verso la salvezza è riuscire ad ammettere di avere un problema». Quello successivo, «è chiedere aiuto». E lavorare di volontà e pazienza, «per liberarsi di una droga nella quale ti rifugi sperando di scacciare i problemi, ma che alla fine si rivela il tuo principale ostacolo». Francesco Cuozzo, originario di Napoli ma da tempo residente a Salerno, in sette anni ha visto evaporare circa 200mila euro, nel buio di bar illuminati dal luccichio delle slot machine.

Ex geometra, ora agente di commercio nel campo energetico, da tre anni frequenta il gruppo Logos. E oggi, a 56 anni, può dirsi finalmente libero dalla morsa del gioco. «Non ho mai avuto problemi economici – racconta – Per lungo tempo ho vissuto una vita tranquilla, riuscendo a garantire tutto il necessario a mia moglie e alle mie due figlie. Mi è sempre piaciuto giocare: un poker con gli amici un paio di volte al mese, le tombolate a Natale con i parenti, niente di più». Poi, dieci anni fa, un terremoto emotivo ha scosso la sua vita: «La storia con mia moglie naufragò. Nonostante i miei tentativi di ricostruire il rapporto, non ci fu niente da fare. Non so cosa scattò in me. Sicuramente il desiderio di non pensare a quello che mi stava accadendo, e al contempo la perversione di voler delapidare i risparmi che avevo accumulato per non avere obblighi economici nei suoi confronti. E così iniziai a giocare, sempre più spesso e con sempre maggiore frequenza, senza rendermi conto che ero entrato in un tunnel». Nel frattempo subentrano anche problemi sul lavoro e per Francesco le slot machine del suo bar preferito, diventano l’unica valvola di sfogo per non guardare tutto quello che intorno si stava sgretolando.

«Accompagnavo le mie figlie a scuola e andavo a giocare. Poi le riaccompagnavo a casa dopo pranzo e giocavo ancora. Non saprei dire quanto ho speso chiuso in quel bar, insieme alle stesse quattro o cinque persone malate come me. Ore e ore, perché quando sei di fronte a quello schermo, con quelle luci e quelle musiche che ti ipnotizzano, perdi completamente il contatto con la realtà e il nesso spazio-temporale», dice con amarezza il 56enne. Quelle lancette dilatate si sommano: diventano sette anni di inferno, in cui volano al vento più di duecentomila euro, insieme al rapporto con le figlie, gli amici di sempre e la famiglia di origine. «Fino a quando mia madre e mio fratello non mi hanno costretto a guardare in faccia la realtà, spingendomi ad ammettere di avere un problema e di doverlo risolvere».

Fondamentale è stato l’incontro con gli operatori del gruppo Logos e con le altre vittime della ludopatia che, attraverso un confronto schietto e doloroso, gli hanno dato la forza per uscirne fuori. «Tu credi di possedere il gioco, ma è il gioco che alla fine ti possiede. Mi sono disintossicato, ma il rischio di ricaderci è sempre dietro l’angolo. Oggi però ho maturato una consapevolezza diversa di me stesso e di quello che voglio per il mio futuro. Mi sto impegnando per riuscire a recuperare una relazione con le mie figlie, che sono la cosa in assoluto più preziosa e mi sento finalmente in grado di confrontarmi in maniera serena con gli altri. Uscirne si può. L’importante è non nascondersi».

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