L'OPINIONE

Botte e coltellate: allarme giovani. Spettatori silenziosi della violenza

Quanto accaduto in questi giorni a Cava de’ Tirreni, con due giovanissimi accoltellati da coetanei, ci obbliga ancora una volta a puntare l’attenzione su un mondo, quello delle bande giovanili, sempre più tristemente alla ribalta. Sono purtroppo all’ordine del giorno situazioni di violenza che coinvolgono ragazzi. Ricordiamo pochi mesi fa, al centro di Salerno, le due coppie di fidanzati che si affrontarono con spranghe e machete, o quanto successe ad Eboli, con una rissa in centro fra venti adolescenti. Troppi gli scontri che nell’ultimo anno hanno contrassegnato la movida della città capoluogo e di tanti centri della provincia, ma certamente il fenomeno è sotto gli occhi di tutti. Per rimanere alla stretta cronaca, all’episodio di Cava, ancora una volta dei giovani sono rimasti coinvolti in una lite, accesasi come sempre per futili motivi, per un battibecco, terminato con la reazione violenta e con le coltellate.

Pochi mesi fa, prima di questo episodio, fu la volta della movida nocerina, con alcuni giovanissimi, poi oggetto di un provvedimento di divieto di accesso e stazionamento (Daspo), che si affrontarono con mazze da baseball e tirapugni. Ricordiamo poi cosa accadde lo scorso anno a Salerno, quando entrarono in azione gang contrapposte di giovanissimi in una maxi-rissa in zona Santa Teresa, a suon di colpi di bottiglia e pezzi di vetro. Insomma, quanto basta per scatenare interrogativi stringenti e stare preoccupati per un fenomeno che non solo non accenna a scomparire, ma che, semmai, sembra preda di un’escalation, legato com’è al grande problema che investe sempre più i giovanissimi. Parliamo della tendenza precoce a cercare l’alterazione dello stato di coscienza, a forza di shottini, di spinelli, di birre a canna, fino ad arrivare alla cocaina facile.

Quanto basta per lanciare ancora una volta l’allarme su un fenomeno che, ovviamente, non riguarda solo le nostre zone, come testimoniato da un’attenta ricerca pubblicata poche settimane fa, in un tentativo di mappatura scientifica del fenomeno. Ci riferiamo al Rapporto realizzato da

Transcrime , il centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Alma Mater Studiorum Università di Bologna e Università degli studi di Perugia, in collaborazione con il servizio Analisi criminale del dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno e il dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia. Uno studio che ha preso spunto dal ripetersi di episodi oramai ascrivibili non più alla casualità, ma, purtroppo, ad un trend consolidato.

Il rapporto ha fatto emergere alcune peculiarità che vale la pena di annotare. La prima è che il fenomeno, che negli ultimi cinque anni è certamente cresciuto: come testimoniato dai resoconti di questure e carabinieri, riguarda quasi tutte le regioni italiane, con leggera prevalenza di quelle settentrionali. Altra annotazione concreta è che queste gang sono in genere composte da un massimo di dieci ragazzi di circa sedici anni, quasi sempre italiani, bande spesso prive di una struttura definita, anche se in alcuni casi si riscontrano legami con organizzazioni criminali, specialmente nel sud. La ricerca della Cattolica è poi andata a pescare le provenienze, scoprendo, in modo del resto prevedibile, che l’ humus è contrassegnato da rapporti problematici con le famiglie e con i pari, oltre che, inutile dirlo, con il sistema scolastico. Senza contare le difficoltà relazionali e il contesto fatto di disagio sociale ed economico. Il tutto si è poi ovviamente acuito con gli anni della pandemia, vera e propria moltiplicatrice dei disagi giovanili. Uno scenario in cui la scuola troppo spesso è spettatrice silente, ma questo è un altro capitolo.