sabato al verdi

Borsellino e quegli ultimi istanti di vita

Monologo teatrale di Cappuccio sul magistrato ucciso dalla mafia

SALERNO. 31 luglio 1988. Il giudice palermitano Paolo Borsellino denuncia, davanti al Csm, l’inadeguatezza dei mezzi di contrasto attivati dallo Stato contro la mafia. Il magistrato parla con straordinaria lucidità. Dopo sedici anni quell’audizione è raccontata sul palco del Teatro Verdi da Ruggero Cappuccio che, sabato prossimo alle 21, porterà in scena uno spettacolo scritto ed interpretato da lui stesso ed intitolato “Paolo Borsellino. Essendo Stato”.

Quella mattina del 31 luglio Borsellino era stato convocato per le interviste rilasciate ai quotidiani “La Repubblica” e “L’Unità”, nelle quali aveva denunciato lo stato di smobilitazione del pool antimafia di Palermo. Minacciato dall’ombra di imminenti provvedimenti disciplinari, il magistrato parlò per oltre quattro ore. Nel pomeriggio fu invece ascoltato Falcone. Davanti al Csm i due magistrati affrontarono temi delicatissimi. Dalle loro parole appassionate emergono i complessi scenari che fanno da sfondo alle indagini sul fenomeno mafioso, ma anche lo spirito di sacrificio di chi, pur consapevole delle occulte relazioni tra criminalità organizzata e Stato, aveva deciso di non arretrare. Giovanni Falcone sarebbe stato ucciso, quattro anni dopo, il 23 maggio 1992 nell’attentato di Capaci. Paolo Borsellino 57 giorni dopo di lui, in via D’Amelio, a Palermo. E proprio su via D’Amelio, o meglio sull’ultimo secondo di vita di Borsellino, il 19 luglio del 1992, si concentra il testo che Cappuccio ha scritto nel 2004 e che dilata questo singolare residuo di tempo in un intenso monologo. Il giudice, disteso sull’asfalto, dubita di essere già morto e dubita di essere ancora vivo. In questa dimensione di lucidità entrano i sogni, l’infanzia, la giovinezza, l’amore di Borsellino per la sua Sicilia, per la sua famiglia e per chi sta morendo con lui. Ma c’è anche l’amico Falcone, dall’adolescenza fino all’ultimo abbraccio nel giorno di Capaci, e la denuncia della solitudine in cui i due magistrati sono stati lasciati.

Alfonsina Caputano

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