Borse in arrivo dalla Cina griffe aggiunte in città

Senegalesi, bengalesi e marocchini sono solo l’ultimo anello della filiera Reclutati dai caporali e sfruttati dalla criminalità, che regge l’intero traffico

SALERNO. A vederle ammassate nei bustoni che spesso riempiono all’inverosimile le auto degli extracomunitari che arrivano in città per lo più dall’hinterland napoletano, il reato potrebbe non essere immediatamente ravvisato. E la criminalità organizzata che gestisce i traffici lo sa bene e continua indisturbata a fare affari. Si tratta di borse e scarpe che solo vagamente ricordano quelle griffate che tutti i teenager o le donne più alla moda desiderano su cui però l’anelato brand non compare, non ancora almeno.

È così che la maggior parte dei “pusher” di merce contraffatta – ben diversi e molto meno influenti dei veri trafficanti che gestiscono l’import dalla Cina o dal Nord Africa – elude i controlli e riesce a esporre nelle sue boutique improvvisate in strada, grandi quanto un telo da mare steso a terra e allestite per lo più nelle zone di maggior passeggio del centro città, il suo tesoro, che diventerà realmente tale solo dopo aver apposto il timbro, il brand, la firma, il logo a cui l’articolo aspira per diventare a tutti gli effetti un falso d’autore.

Se, tolti i grandi carichi che arrivano dall’Oriente, i centri di produzione dei “semilavorati” si trovano per lo più in provincia di Napoli – San Giovanni a Teduccio, Barra, San Giuseppe Vesuviano ma anche il rione Sanità del capoluogo di regione – di depositi per la “rifinitura” ce ne sono anche nel Salernitano e non per forza in grandi capannoni come la letteratura in materia indurrebbe a pensare; per cucire un marchio su una scarpa o punzonare un’etichetta su un giubbotto imbottito di finte piume d’oca basta anche una stanza, l’importante è la precisione e la velocità. E in questo, secondo coloro che normalmente indagano per risalire alle centrali della contraffazione, i più bravi sono i senegalesi e i bengalesi.

Quanto guadagnano sulla vendita di un paio di scarpe contraffatte? Non poco ed è per questo che molti tra gli immigrati , soprattutto tra quelli arrivati da poco nel nostro Paese, si lasciano convincere a entrare nel business.

Apporre un marchio può costare dai 2.50 ai 10 euro per le scarpe, dai 3.50 euro ai 7.50 per le borse; un paio di finte Hogan (giusto per citare il modello più imitato) al venditore abusivo costa non più di 18 euro e può essere rivenduto al cliente in cerca dell’affare anche a 60 euro. Il conto è presto fatto.

I capi d’abbigliamento e le calzature sono appannaggio degli africani che spesso fanno da spola tra Napoli e Salerno utilizzando anche autobus e treni per ridurre al minimo il rischio di controlli, le borse già necessitano di un’attenzione maggiore perché le più richieste sono quelle con il brand stampato in più punti e devono partire già “complete” dal deposito, non possono essere ultimate in pochi minuti.

Altra categoria di merce è quella, molto meno remunerativa, da cui traggono sostentamento coloro che dal Bangladesh hanno deciso di trasferirsi in Italia, e anche a Salerno.

Rose, ombrelli, cover per smartphone, foulard seguono percorsi completamente diversi per arrivare in città e gli esperti non escludono che molte centrali si trovino nella provincia Sud di Salerno, nella Piana del Sele per la precisione dove, così come succede per la raccolta dei pomodori, esistono dei veri e proprio caporalati che decidono chi lavora e chi no, impongono una percentuale sulle vendite tenendo praticamente sotto scacco i poveri bengalesi a cui sottraggono anche i passaporti finchè non hanno “sanato” il debito contratto per essere riusciti ad arrivare in Italia.

Anche nel centro storico di Salerno funziona così e molti venditori di rose, tra i quali regna un’omertà da paesino dell’entroterra siciliano, sono obbligati a lavorare quasi 24 ore al giorno per soddisfare i loro padroni. In molti fanno capire che se qualcuno di loro decidesse di ribellarsi a questo sistema, a pagarne le conseguenze sarebbe la famiglia che costui ha lasciato nel Paese di provenienza.

Molti di loro hanno cercato di insinuarsi anche nel mercatino etnico del sottopiazza della Concordia sfruttando le licenze che per un lungo periodo è stato facile ottenere al Comune di Capaccio.

Poi ci sono i marocchini ma sembra che questi siano i meno “ricattati” negli ambienti dell’abusivismo: spesso partono da Salerno in nave alla volta del loro Paese, da lì tornano in città sbarcando a bordo di auto e furgoni carichi di merce etnica che cercano di rivendere dove possono.

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