Beni confiscati, Davigo boccia Salerno 

La Cassazione ribalta la sentenza del tribunale: immobile di Campione acquistato in data anteriore al sequestro antimafia

La Corte di Cassazione annulla il diktat dei giudici salernitani: quel decreto di confisca non è legittimo. Di mezzo ci sono un immobile di via Rosa Jemma, le sorti di un’impresa che da anni si dimena in un calvario giudiziario e il destino di quei battipagliesi che hanno acquistato delle aree poi confiscate ai clan. La Suprema Corte capovolge l’ordinanza del Tribunale di Salerno: i giudici dovranno riesaminare il caso di via Rosa Jemma.
Nel centro direzionale “Pastena”, a pochi passi dal sottopasso ferroviario, c’è una rinomata agenzia di comunicazione: un appartamento che Floriana D’Avino, la titolare dell’impresa, aveva acquistato ad ottobre del 2007 dalla AM Immobiliare, l’azienda amministrata da Antonio Campione. Un nome, quello di Campione, legato al processo California: i giudici lo ritennero vicino al clan Maiale, e, nei mesi successivi, gli sottrassero un bel po’ di immobili. A maggio del 2009, ai danni dell’imprenditore, le toghe disposero la confisca di prevenzione, e nel calderone finì pure quell’appartamento che due anni prima, dopo essersi accollata un bel mutuo, la D’Avino aveva comprato.
A quel punto la donna s’era rivolta al Tribunale di Salerno, chiedendo una revoca dell’ordinanza. Ad aprile 2016, però, quell’istanza fu disattesa, e la D’Avino s’oppose. Nulla di fatto: a luglio 2017, le toghe salernitane hanno rigettato l’opposizione, non credendo all’acquisto in buona fede. La pubblicitaria ha presentato ricorso per Cassazione: attraverso il suo avvocato, ha fatto notare alla Suprema Corte che, nel verificare la sussistenza della sua buona fede, le toghe non avrebbero applicato le norme vigenti. Decine d’obiezioni sollevate dalla ricorrente, che ha fatto notare che il rogito notarile era anteriore al sequestro, che la sua estraneità è stata acclarata dalle indagini dei pm e che sette mesi erano passati tra l’accordo e la firma, e in quel periodo il notaio aveva effettuato dei controlli sulla regolarità del bene e lei s’era pure accollata un mutuo, garantito dal padre. Sul capo di Campione non c’erano condanne passate in giudicato, e così, in buona fede, la D’Avino avrebbe acquistato il bene.
Quel che si contesta ai giudici salernitani, poi, è il mancato richiamo ai rilievi addotti dalla ricorrente: d’altronde, per lo stesso motivo, pure la Procura generale, con una requisitoria firmata dalla sostituta procuratrice Mariella De Masellis, a dicembre scorso aveva ribadito che il provvedimento impugnato andava annullato. Un collega della De Masellis, Piero Gaeta, aveva evidenziato che la D’Avino aveva offerto prova del suo affidamento incolpevole.
E così, nei giorni scorsi, la Suprema Corte, presieduta da Piercamillo Davigo, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Salerno: «Questa Corte - si legge nel dispositivo - non può che prendere atto della completa omessa motivazione sugli specifici motivi d’opposizione e annullare il provvedimento». Si tornerà in aula a Salerno.
Carmine Landi
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