LA DECISIONE

Battipaglia, uccise Natalino: c’è l’ergastolo per Alexa

La Corte d’Appello riconosce l’aggravante: pestaggio motivato dalla rapina. Papà Tony: «Non credevo più nella giustizia»

BATTIPAGLIA - Ergastolo. Dopo millesettecentotrentasette giorni. È il tempo che è passato da quella notte violenta, da quel brutale pestaggio in litoranea, il 4 ottobre del 2015, che poi, a distanza di due mesi, il 12 di dicembre, avrebbe inghiottito l’ultimo respiro di Natalino Migliaro , 33 anni, il giovane battipagliese ucciso di botte cinque anni fa. Mamma Anna e papà Tony li rivivono tutti, quei quattro anni e mezzo, nell’aula bunker del Palazzo di Giustizia, di fronte ad Ionut Alexa , il rumeno di 34 anni, detenuto nel carcere di Benevento, che s’è preso la vita del loro ragazzo. «Ergastolo», sentenzia il giudice Massimo Palumbo , presidente della Corte d’Assise e d’Appello, e i Migliaro abbracciano il loro avvocato, Maria Gabriella Gallevi , che li ha assistiti fin dal giorno uno. È un lunedì mattina d’inizio estate, il primo d’un luglio afoso, quando i giudici condannanno Ionut, difeso dall’avvocato Marco Bruttapasta , al “fine pena mai”. Un ritorno al primo pronunciamento, quello di gennaio del 2017, quando la Corte d’Assise optò per l’ergastolo. Un anno e mezzo prima di un’altra sentenza, quella di maggio 2018, con la quale proprio la Corte d’Appello rimodulò la condanna: dal carcere a vita a vent’anni. Il procuratore generale di Salerno, Leonida Primicerio , la impugnò davanti alla Corte di Cassazione, quella sentenza, e i giudici capitolini accolsero il suo ricorso, chiarendo che le toghe salernitane non avevano tenuto conto dell’aggravante del “nesso teleologico”.

Tradotto dal “giuridichese”, vuol dire che il massacro avvenne per futili motivi, e quindi va applicata l’aggravante: in località Idrovora, insomma, Alexa e i complici rumeni, tutti incappucciati, avrebbero pestato a colpi di bastone Migliaro, mentre era appartato con la fidanzata, per rapinare la coppia - provando a portar via, senza riuscirci a causa del cambio automatico, pure la vettura della giovane - ed abusare sessualmente della giovane. Ad inchiodare Alexa al “nesso teleologico”, oltre all’esito positivo del confronto tra il suo dna e quello estrapolato dallo sperma ritrovato sul luogo dell’aggressione, c’è pure quel telefonino - che era di Migliaro - ritrovato proprio in casa sua. Di qui la condanna del lunedì mattina, per bocca dei giudici che hanno accolto la richiesta dal procuratore generale della Corte di Appello, Elia Taddeo : “fine pena mai”. Erano gli anni, quelli del pestaggio, in cui due cartelli di stranieri, gli albanesi e i rumeni, stando alle inchieste, s’erano spartiti il business sporco del meretricio sulla fascia costiera: la zona Spineta in mano ai primi, a Lago comandavano i secondi. Ed è lì che Migliaro trovò la morte. Per una sporca e futile rapina.

«Questa sentenza - dice la Gallevi - dimostra che non esistono vittime di serie A o di serie B: lo ha dimostrato Primicerio, con il ricorso alla Corte di Cassazione, e lo ha confermato la condanna. Tutte le persone sono uguali». Tony Migliaro abbozza un lieve sorriso: «Dopo la prima sentenza della Corte d’Appello, quella dei vent’anni, non ci credevo più, nella giustizia italiana. C’era chi aveva dipinto mio figlio come un drogato, come tutto ciò che non era», è l’amaro ricordo dei giorni della lotta. «Oggi c’è soddisfazione, sì, ma è minima, perché la sentenza non restituirà mio figlio né a noi né agli amici, che sapevano chi era Natalino, a differenza di chi, di dovere, avrebbe dovuto saperlo e non l’ha saputo. E non aggiungo altro», dice papà Tony. I Migliaro s’infilano in auto. Piede sul pedale, per una preghiera: «Andiamo al cimitero. Dal nostro Natalino».