IL FATTO

Battipaglia, scontri al derby un tifoso nei guai

Risse ad Agropoli e in discoteca: stangata dei giudici all’ultrà della Battipagliese

BATTIPAGLIA - Stangata per un tifoso della Battipagliese, 30 anni tra cinque giorni. La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal tifoso della Battipagliese, coinvolto negli scontri tra gli ultras in occasione del derby con l’Agropoli, il 28 febbraio del 2010. Quel giorno il tifoso, che ha proposto ricorso davanti ai giudici Ermellini, affidandosi all’avvocato Antonio Melucci , dinanzi allo stadio di Agropoli, insieme ad alcuni amici tifosi, aveva preteso di entrare senza biglietto a vedere la partita: dal diniego delle forze dell’ordine erano partiti gli scontri. E poi è stato accusato e condannato, sia in primo grado che in Corte d’Appello, non solo per lesioni personali gravi, ma anche per resistenza a pubblico ufficiale. Nello stesso giorno, poche ore dopo, il tifoso si era recato in una discoteca di Capaccio Scalo, dove è stato protagonista di un'altra rissa. In pista da ballo si rese protagonista di cori da stadio contro l’Ebolitana. Ed è pure per questo che i giudici della Corte di Cassazione non gli hanno riconosciuto l’agognata continuazione del reato, che avrebbe comportato uno sconto di pena: l’incontro di calcio appena terminato non era contro l’Ebolitana, bensì contro l’Agropoli. E il vero motivo della rissa in discoteca, infatti, sarebbe stato la richiesta di una sigaretta, poi rifiutata.

L’ultrà finì coinvolto nella rissa. Secondo i giudici dei due tribunali, quello di Vallo della Lucania e quello della Corte di Appello di Salerno, che lo processarono per i due distinti episodi, l’unico collegamento tra i fatti di quella giornata sarebbe stata «l’indole violenta dell’imputato». Non convinse i giudici di primo grado la teoria della difesa, che riteneva che entrambi gli episodi fossero scaturiti dalla “fede calcistica” dell’ultrà. Una tesi portata avanti affinché venissero riconosciute la continuità del reato commesso ed uno sconto di pena. Scrissero i giudici, e ha poi confermato la Cassazione, che mentre dinanzi allo stadio l’unico scopo del tifoso sarebbe stato quello di non pagare il biglietto, in discoteca si sarebbe scagliato contro le sue vittime solo perché gli avevano negato una sigaretta. Insomma nessun disegno organico nella commissione dei due reati, che il difensore aveva tentato di giustificare con una «scorreria stile Hooligans ». La Corte suprema ha ritenuto il ricorso non solo inammissibile, ma perfino non esente da colpa condannando così il ricorrente a versare tremila euro alla casse delle ammende.

(s.b.)