IL CASO

Battipaglia, ruspe e veleni: una causa lunga 66 anni

Verdetto sulla demolizione di un palazzo: Comune salvato da un risarcimento di 13 milioni per la vertenza iniziata nel 1954

BATTIPAGLIA - Un contenzioso lungo 66 anni. Ovunque sarebbe incredibile, ma non a Battipaglia, la città del record di cause tra privati e Comune. In questo caso la vicenda riguarda la famiglia Ricciardi, che dal lontano 1954 ha ingaggiato una vera e propria battaglia, senza esclusione di colpi “di carta bollata”, a causa d’una palazzina in via Carmine Turco. Finalmente è giunta la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, che ha letteralmente “salvato” l’Ente locale dal versare un risarcimento milionario chiesto dai Ricciardi per la cifra di ben 13 milioni di euro. A difendere l’Ente, in ultimo grado, l’avvocato Sabato Criscuolo .

La vicenda è antica. Nel 1954 il signor Ricciardi chiese l’autorizzazione per costruire una casa ad un solo piano in un terreno di sua proprietà in via Turco. Ne ottenne un diniego dall’allora commissario di governo. Decise di modificare il progetto e riproporre la richiesta, stavolta per una palazzina di cinque piani, con quattro appartamenti ciascuno, per la quale ottenne la licenza edilizia l’anno successivo. Presentò poi alcune varianti e quindi propose un rinnovo della licenza per ampliare il piano terreno. Era il 1965, sindaco Domenico Vicinanza . Il rinnovo gli venne concesso. Poi, però, Ricciardi chiese una nuova proroga della licenza concessagli. Nel frattempo si erano avvicendati altri due sindaci durati in carica poco tempo, ma sul rinnovo della licenza c’era stata una sospensione, perché il progetto appariva in contrasto con lo strumento urbanistico in via di approvazione. Nel 1972, sindaco Felice Crudele , Battipaglia adottò il nuovo piano regolatore ed il Comune emise, nei confronti di Ricciardi, un’istanza di demolizione del fabbricato perché la licenza «oltre ad essere scaduta prevedeva l’ampliamento del solo piano terra» ed invece ne erano stati costruiti altri tre. Di qui la prima impugnazione, arrivata dinanzi al Consiglio di Stato, avverso l’ordinanza di demolizione. Era il settembre del 1972. L’ordinanza venne sospesa.

Nel frattempo fu istituito il Tar della Campania, che, tra le prime sentenze emesse, rigettò il ricorso di Ricciardi rilevando che «il ricorrente non aveva ultimato i lavori di costruzione nel periodo massimo previsto dall’autorizzazione sindacale del 1955». Fu presentato appello al Consiglio di Stato e si giunse così al 1980. Ma poiché, per oltre due anni, non fu compiuto alcun atto, nel 1994 il Consiglio di Stato dichiarò estinto il giudizio. E Ricciardi, nel 1999, si rivolse direttamente al Capo dello Stato. L’inammissibilità dell’appello giunse solo nel 2002. E s’arrivo al novembre del 2008 quando, commissario prefettizio Alfonso Noce , il Comune improvvisamente annullò da sé l’istanza di demolizione asserendo che le licenze edilizie «non avevano limite temporale».

A quel punto gli eredi dell’ormai defunto Ricciardi decisero di intentare l’ultima causa, quella di risarcimento danni nei confronti dell’Ente locale. Ma nel 2015 il Tar rigettò il ricorso ritenendo prescritto il diritto al risarcimento del danno. La richiesta andava fatta entro cinque anni dall’ordinanza di demolizione. Si giunge in tal modo all’atto finale, l’appello al Consiglio di Stato che, però, concorda con il Tar. L’atto da contestare era l’ordinanza di demolizione che causò il danno. «L’azione risarcitoria da provvedimento illegittimo si deve proporre nel termine di cinque anni decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato». Insomma 66 anni per non ottenere nulla.

Stefania Battista