Battipaglia, così è tornato il clan Giffoni

Il diktat di Lucia Noschese: «Bruno e Biagio hanno fatto il letto, nessuno ci si corichi». Oggi i capi davanti al giudice

BATTIPAGLIA. «Loro hanno preparato il letto, e ora gli altri non ci si devono coricare». “Loro” sono i boss Biagio Giffoni e Bruno Noschese ed è con queste parole che Lucia Noschese (figlia di Bruno e nipote di Biagio) ha imposto di nuovo il predominio del clan nonostante i suoi vertici siano dal 2003 in carcere sottoposti al regime di massima sicurezza. Il diktat prevedeva che chiunque volesse esercitare a Battipaglia attività illecite non potesse farlo in autonomia ma dovesse sottomettersi alle regole del vecchio sodalizio criminale, che gli affiliati chiamavano “Sistema” per evidenziarne il controllo capillare su tutto il territorio e le infiltrazioni anche nella pubblica amministrazione.

Il primo a finire nel mirino fu Carmine Marino, anche lui arrestato nel blitz che venerdì ha condotto 57 persone in carcere e altre trenta agli arresti domiciliari. Il 46enne di Bellizzi gestiva in tutta la Piana del Sele un giro di spaccio, ma fu prima costretto a versare una parte dei guadagni e poi cacciato da Battipaglia e obbligato a circoscrivere i suoi affari illeciti solo al territorio di Bellizzi. Ad avvicinarlo furono per primi Lucia Noschese e il convivente Raffaele Ficuciello, imponendogli la “tangente” sui guadagni. Poi sempre loro cambiarono strategia e decisero di estrometterlo, stringendo invece alleanza con quelli che sarebbero stati i veritici operativi del nuovo clan: Cosimo Podeia, Paolo Pastina e Pierpaolo Magliano. Era il settembre del 2009. Podeia, poi divenuto collaboratore di giustizia, ha rivelato al sostituto procuratore Rosa Volpe di essere stato convocato da Lucia Noschese e Ficuciello perché si incontrasse con Pastina e Magliano, che da una decina di giorni aveva lasciato gli arresti domiciliari. Si videro in un ristorante in località Spineta, e secondo la ricostruzione del pentito fu Magliano a proporre di mettere insieme le loro forze nel traffico di sostanze stupefacenti e di «provvedere pure – si legge nell’ordinanza cautelare – al sostentamento di Noschese Lucia e, per essa, del clan Giffoni e quindi dei detenuti in carcere di detto clan». La proposta fu accettata, quindi si organizzò un appuntamento con la Noschese e fu lei a dettare le regole, imponendo l’aiuto economico ai detenuti e minacciando che non sarebbero stati tollerati sotterfugi: «Il sostegno – ammonì – doveva esserci effettivamente e non come era successo in passato, quando era rimasto delegato a mera dichiarazione di intenti». Il sodalizio sgominato pochi giorni fa dal blitz della Mobile nacque così, e prevedeva la consegna nelle mani della Noschese di un fisso mensile di 2.500. All’inizio si decise di trafficare solo in hashish, poi arrivarono anche marijuana, shunk e cocaina. Si calcola che per i tre capi dell’organizzazione i guadagni superassero gli 11mila euro mensili. Dopo il “pentimento” di Podeia sono rimasti Pastina e Magliano, che oggi saranno interrogati nel carcere di Benevento dal giudice delle indagini preliminari Pietro Indinnimeo. Pastina sarebbe intenzionato a rispondere, rinnegando la definizione di boss.

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