LA TRAGEDIA

Battipaglia, carovana di motociclette: l’ultimo viaggio di Peppe

Migliaia di battipagliesi ai funerali di Noschese, il biker di 31 anni morto a Maiori

BATTIPAGLIA - La scienza ci dice che tra il sole e la terra passano circa 150 milioni di chilometri. Tra i raggi di quella gigantesca palla di fuoco che giungono sulla terra per riscaldarci dal freddo ed illuminarci nel grigiore. È sempre la scienza a dirci che quegli stessi raggi di sole impiegano appena otto minuti per compiere quel tragitto infinito. Otto minuti, tra noi e il sole. Otto minuti, tra il cielo e la terra. A volte, però, la distanza tra cielo e terra si assottiglia spaventosamente, e per compiere quei 150 milioni di chilometri ci vuole molto meno di otto minuti. Una frazione di secondo è sufficiente. Giuseppe Noschese , 31 anni, se n’è andato con una folle ed incredibile corsa, che nulla ha a che fare con l’asfalto e i motori, anche se è lì che ha esalato l’ultimo respiro. In sella alla sua moto, Giuseppe è partito in un viaggio di sola andata.

Direzione sole. Caldo e luminoso sole. E quei centocinquanta milioni di chilometri li ha percorsi in un battito di ciglia. Da velocista. La scienza può raccontarci tante cose, però non è capace di spiegarci il dolore inenarrabile d’un padre, Guido , di una madre, Giovanna Saponara , di un fratello, Stefano , dinanzi alla perdita dell’amore. Non è capace di darci una spiegazione che giustifichi una corsa verso il sole della durata di un battito di ciglia. Giuseppe, che quel viaggio l’ha intrapreso in tempi troppo brevi, a 31 anni, quando si iniziano ad assaggiare appena i primi bocconi dell’età matura. Giuseppe è andato via in fretta, in uno schiocco di dita troppo rumoroso per passare inosservato, mentre nel pomeriggio autunnale di giovedì, quando il sole è ancora alto in cielo, percorreva la strada statale “Amalfitana”, quella che apre le porte ad uno dei panorami più belli che abbia da offrirci la vita.

Ha perso il controllo in una curva, ed è finito sotto un autobus di linea della “Sita”. Migliaia di persone, a circa ventiquattr’ore di distanza dal viaggio intrapreso da Giuseppe in direzione cielo, si sono ritrovate insieme, unite da un sottile silenzio in un mare di mascherine nere, a pregare per un’anima bella e giovane. Per un amico, per un figlio, per un fratello. Ieri pomeriggio, quando presso la parrocchia “Santa Maria delle Grazie” di Belvedere, popoloso quartiere cittadino, a scortare il corpo di Giuseppe, chiuso in una bara bianca, simbolo della purezza, c’erano tantissimi altri “centauri”, proprio come il 31enne battipagliese. Un fiume in piena di moto che hanno scortato con rispetto e calore Giuseppe nell’ultimo viaggio “fisico” sulla terra, sulle note di una banda composta da fiati e percussioni, in un’immagine capace di straziare anche il cuore più impenetrabile e d’acciaio.

«Questa bara deve trasudare vita, speranza, non morte». Così il parroco, don Massimiliano Corrado , nella sua omelia. Un’omelia “umana”, in cui ci si e interrogati sul perché determinate risposte all’esistenza non siano in grado di giungere a noi. Sui misteri della vita, affinché possano presto liberarsi del velo di oscurità, e qualcuno possa essere in grado di dare prima o poi una risposta a papà Guido, a mamma Giovanna, a Stefano, del perché oggi di Giuseppe resti un ricordo ed un rombo di motore, forte, impetuoso e straordinario. E mentre i palloncini bianchi continuano il loro viaggio verso il cielo (mettendoci ben più di quegli otto minuti) Giuseppe guarda leggero il mondo dall’alto, mentre con un rombo di motore corre sulla sua moto verso un’altra, incredibile avventura.

Andrea Picariello