Bar gestito da prestanome In 4 rischiano il processo

Secondo la Procura il vero titolare dell’esercizio è Alessandro Viviano Lo avrebbe fatto acquistare da altri per sottrarlo al sequestro dell’Antimafia

Secondo la Direzione distrettuale antimafia il bar Boccanegra di via Farao non era un locale come tutti gli altri, ma sarebbe finito nella disponibilità di Alessandro Viviano, che lo avrebbe intestato a prestanomi per sottrarlo alle misure di prevenzione patrimoniali chieste dalla Dda sin dal 2008. Per questo ieri mattina il pubblico ministero Rosa Volpe ha chiesto il rinvio a giudizio non solo di Viviano ma anche della moglie Laura Trucillo (a cui nel 2010 fu intestato il locale) di Angela Mercedes Escorcia Castillo a cui la gestione fu poi rivenduta e del convivente di questa, il salernitano Silvio Lupo, che secondo la Procura avrebbe potuto essere partecipe dell’operazione sin dall’inizio, in quanto ex socio del precedente titolare che aveva poi ceduto l’attività alla Trucillo.

Alessandro Viviano è noto per essere già stato coinvolto in altri procedimenti sulla criminalità organizzata salernitana e per essere il figlio di Aniello Viviano (ora deceduto), individuato dagli inquirenti come un esponente di spicco del clan che faceva capo a Vincenzo Faggioli e Angelo Ubbidiente, con cui si sarebbe accordato per garantirsi la gestione delle slot machine piazzate dalla camorra nei locali pubblici. Sul giro dei videopoker è in corso a carico dei Viviano un processo davanti alla seconda sezione penale, e nei confronti del 35enne Alessandro è stata emessa nel gennaio del 2010 una misura di prevenzione personale. L’acquisto del Boccanegra da parte della moglie è datata solo tre mesi dopo, il 16 marzo del 2010, nelle more di un ricorso difensivo che fu poi rigettato sia dalla Corte d’appello che dalla Cassazione. Due anni dopo, nell’aprile del 2012, Lucia Trucillo firma davanti al notaio l’atto con cui cede l’azienda alla Castillo, ultimo atto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, di un progetto architettato da Viviano per continuare a gestire locali pubblici senza correre il rischio di vederseli sottrarre dalla giustizia, tanto più che alla sua famiglia ne erano stati già sequestrati altri in passato, sempre nella stessa zona. Per questo il pubblico ministero ha chiesto ieri il rinvio a giudizio di tutti gli imputati con l’accusa di intestazione fittizia di beni “con l’intento di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali”.

L’inchiesta ha preso le mosse dalla denuncia presentata nel luglio del 2012 dal vecchio titolare del bar, che aveva venduto alla Trucillo e che probabilmente aveva poi scoperto che la cessione era passata alla compagna del suo ex socio. A decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, dopo aver raccolto le conclusioni del pm e quelle del difensore Marco Martello, sarà oggi il giudice dell’udienza preliminare Eliasbetta Boccassini.

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