Baby pusher al servizio di due gruppi

Tanti i minorenni “vicini” alle gang dedite allo spaccio nell’Agro e nella Valle dell’Irno. La spartizione delle “piazze”

di Fiorella Loffredo

SALERNO

Si erano ben spartiti un vasto e oltremodo fruttuoso territorio - vista la presenza di molti studenti universitari fuori sede - dove, senza pestarsi i piedi, ognuna delle due organizzazioni criminali faceva affari fiorenti, con clienti affezionati e pronti anche a fare qualche “commissione” per chi assicurava loro la “roba” con cadenza puntuale e a prezzi concorrenziali. È stato in questo modo che le due associazioni - capeggiate a Siano dal 24enne Giovanni Capone e a Bracigliano e Mercato San Severino da Vincenzo Salvati, pregiudicato 47enne - dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti nell’Agro e nella Valle dell’Irno hanno potuto coinvolgere nei loro loschi traffici tante persone, molte delle quali giovanissime. Alcune anche di ottima famiglia. Che, stando alle ordinanze delle misure cautelari eseguite dai carabinieri della compagnia di Mercato San Severino, diretti dal capitano Rosario Basile, compaiono sia come abituali assuntori di quelle sostanze trafficate - per lo più hashish e marijuana, ma anche cocaina e crack - ma anche collaboratori di chi era a capo dei sodalizi che li aveva scelti proprio per la loro giovane età che, senza dubbio, destava minori sospetti.

Dell’associazione a delinquere che operava per lo più nel territorio di Siano facevano parte anche Giacomo Giordano, Gioacchino Della Mura, Ivan Esposito, Luca Esposito e Vincenzo Vitale, tutti di età compresa tra i 26 e i 21 anni, ora indagati nel procedimento scaturito dall’operazione denominata “Dirty Business”. Il sodalizio, che ha fatto affari per oltre sette mesi, dal luglio 2011 al gennaio 2012, era predisposto per l’acquisto, la detenzione e la vendita di droga destinata al consumo personale da parte di numerosi acquirenti. Tra i quali compaiono diversi minorenni: è stato proprio uno di loro a fornire alla banda una base logistica dove occultare e confezionare le dose di stupefacente che poi sarebbero state vendute. I pusher, infatti, come si evince da diverse intercettazioni, si davano appuntamento nella “casetta”, un appartamento disabitato di vicolo Roscigno, di proprietà della famiglia del minore, usato come vero e proprio deposito della merce da spacciare “al dettaglio”.

A Bracigliano, il capo riconosciuto della banda era Vincenzo Salvati - l’unico finito in carcere - che con l’ausilio di sua moglie Damiana Cerrato, ora agli arresti domiciliari e affiancato da Carmine Albano, Mario Damato, Rocco Moffa, Sergio Basile e Patrizio Basile, aveva messo su un’associazione a delinquere che aveva come base operativa o la sua casa, blindata come un fortino con tanto di telecamere di sorveglianza sull’uscio, e il cantiere dove ricopriva il ruolo di custode spesso raggiunto dai suoi sodali e dai suoi clienti per approvvigionarsi dello stupefacente da consumare o da rivendere. Anche a Bracigliano, i pusher avevano tra le loro conoscenze “strette” minori che si rifornivano da loro abitualmente.

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