«Assecondare i portatori per averne il consenso»

La processione non è l’unico esempio dell’adesione alle istanze dei ceti popolari Di recente è stato modificato il progetto del Vestuti per salvare la curva Sud

Altre volte san Matteo è stato indebitamente tirato da una parte o dall’altra. Come nel dicembre del 1875, quando, in occasione di una scossa di terremoto, un nutrito gruppo di abitanti delle Fornelle (composto soprattutto di donne, “quelle che facevano più baccano”, come ricorda il cronista dell’epoca) si recò in cattedrale per portare in processione la statua del santo patrono e provare, così pensavano, a placarne l’ira.

Tuttavia, vigente dall’Unità il divieto imposto dal sindaco Luciani di effettuare manifestazioni religiose “fuori del recinto dei templi”, il vescovo di allora, monsignor Domenico Guadalupi, si precipitò nel duomo e riuscì a dissuadere il popolino, evitando l’intervento delle forze dell’ordine già minacciose di sequestrare la statua.

Erano gli anni del tramonto del Papa Re ed a Salerno, complice soprattutto Luciani, uomo forte di quel tempo, le contrapposizioni tra laici e cattolici sfociavano abitualmente in processi istruiti ai danni di preti e vescovi, confische di chiese da adibire ad alloggi per militari, divieti di svolgere processioni in luoghi pubblici.

In ogni caso le divergenti vedute rivelavano come i “due popoli”, indicati da Cuoco all’indomani della rivoluzione del 1799, confermassero la drammatica frattura esistente nella società meridionale tra élite intellettuali e ceti popolari, tra i pochi colti ed istruiti e le masse di analfabeti. In più occasioni tale divisione si evidenziò proprio a proposito della religiosità popolare e dei suoi relitti di superstizione pagana. E, prima dei filosofi illuministi, furono tanti gli esponenti dell’alto clero tridentino a denunciare eccessi e travisamenti.

Sempre, tuttavia, seppure con intenti diversi e con minore o maggiore spirito polemico, rappresentanti delle élite civili ed ecclesiastiche si ritrovarono unite nel tentativo di elevare, come si diceva nell’ottocento, lo spirito delle classi popolari, consapevoli dell’esigenza di diffondere nella vita pubblica un più maturo spirito civico e religioso insieme.

Viceversa, del tutto inedito è ai nostri giorni la scelta degli amministratori pubblici, tra l’altro dichiaratamente estranei al contesto ecclesiale, di assecondare le richieste provenienti dal basso e condividere i motivi della contestazione verso il vescovo. Il quale, sulla scia dei predecessori (non tutti e, soprattutto, non quello più immediato), appare intento esclusivamente a disciplinare una manifestazione di evidente natura religiosa, a correggere atteggiamenti estranei alla fede che si dovrebbe pubblicamente testimoniare.

In realtà, non si tratta del primo caso di adesione dei governanti salernitani alle istanze dei ceti popolari, come testimonia la precipitosa revisione di progetti urbanistici, solitamente testardamente difesi, per soddisfare le ragioni di ultras legati ad altri totem intoccabili, nel caso specifico a quella curva frequentata dai padri e destinata in cuor loro a resistere per sempre all’usura del tempo ed agli oltraggi degli uomini senza fede. Laddove per fede si intenda quella granata.

Due popoli, ancora una volta, ma su fronti diversamente composti, con “intellettuali organici” divenuti finalmente, secondo gli auspici di Gramsci, tutt’uno col popolo che vogliono rappresentare. Ma, secondo la versione salernitana, non conducendo masse retrograde ad una più matura coscienza di classe, bensì mutuando atteggiamenti, toni ed opinioni del sopravvivente primitivismo delle plebi meridionali. Non perché, evidentemente, uomini di alti studi e letture raffinate abbiano subìto d’improvviso una così eclatante involuzione, ma perché mostrarsi bassi risulta il modo più efficace per raccogliere consensi, per mantenersi saldi al potere.

E pazienza se il progresso civile arranca o addirittura arretra, se le anime belle si dolgono, se il vescovo rimane isolato. Meno alto è il livello, più pubblico si raggiunge: funziona così nella società di massa ed anche i politici, ormai da tempo, si sono adeguati. È così, bellezza, verrebbe da dire con Bogart, e noi non possiamo farci niente. Niente.

Però … però sarebbe interessante almeno sapere che ne pensano della categoria gramsciana “nazional-popolare” ridotta a Salerno a “municipal-popolare” i tanti che a lungo, nella stessa città, intellettuali organici lo sono stati davvero. E che mai avrebbero immaginato i propri eredi impegnati in Consiglio comunale a disquisire di itinerari di processioni ed a rappresentare le rivendicazioni dei membri delle paranze dei santi. O i tanti altri che, beneficiari del mandato dei cattolici attivi in città, da anni svolgono incarichi pubblici a supporto dell’amministrazione comunale. I quali dovrebbero avvertire un’elementare esigenza di chiarezza, finalmente pronunciare parole chiare al riguardo, dichiarare da che parte stanno.

Il prossimo 21 settembre, che deve fare san Matteo? Vale la tradizione nata e consolidatasi in epoca deluchiana o quella dei secoli precedenti? Deve entrare nel Palazzo di Città anche stavolta? O fare solo un balletto e un inchino all’ingresso e poi tirare diritto facendo finta di niente?©RIPRODUZIONE RISERVATA