Appalti e tangenti, arresti al Santobono

Presi anche per Manna e Poziello già rinviati a giudizio per la vicenda dell’applicazione della legge Severino a De Luca

NAPOLI. L’ultimo capitolo della Appaltopoli napoletana parla di sei arresti (uno in carcere e cinque ai domiciliari) e quattro obblighi di dimora. Sono 19 gli indagati nel filone riguardante le gare all’ospedale pediatrico Santobono – Pausilipon e all’Adisu, l’Agenzia regionale per il diritto allo studio universitario. Le accuse, a vario titolo, vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta e, per un solo indagato, alla tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tra i destinatari dell’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Napoli, Mario Morra, figurano Guglielmo Manna (finito ai domiciliari) e Giorgio Poziello (in carcere), entrambi rinviati a giudizio per induzione indebita davanti al Tribunale di Roma, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte pressioni per condizionare la decisione sulla sospensiva al governatore Vincenzo De Luca in base alla legge Severino. Le indagini partirono proprio dalle intercettazioni sugli appalti. Manna, capo dell’ufficio legale del Santobono, è il marito della giudice Anna Scognamiglio, componente del collegio chiamato a pronunciarsi sul “caso De Luca”, con cui condivide il destino da imputato davanti ai magistrati capitolini. Poziello è infermiere caposala dello stesso ospedale, e su di lui pende l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso: sarebbe in contatto con il potente clan Polverino, egemone nell’area collinare di Napoli. L’inchiesta, condotta dai pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano e Enrica Parascandolo della Dda di Napoli, coordinati dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice, accende i riflettori sull’appalto da 11milioni e 500mila euro per i servizi di pulizie, facchinaggio, custodia e gestione della morgue negli ospedali pediatrici Santobono, Pausillipon e Annunziata. L’uomo chiave è l’imprenditore Pietro Coci. Nel maggio scorso viene convocato dalla Squadra Mobile di Napoli. Ha due possibilità: negare tutto o confessare. E lui sceglie di vuotare il sacco, perché le intercettazioni a suo carico lo inguaiano.

L’imprenditore, titolare della Euro service, racconta ai magistrati di aver ricevuto una richiesta di tangente del 4% dal caposala. Agli inquirenti spiega di aver parlato con due uomini di Manutencoop, colosso delle cooperative rosse con cui è in associazione di impresa, che «senza colpo ferire e senza fare una piega mi dissero che erano assolutamente d’accordo e che per loro la prassi era di pagare sistematicamente nel settore degli appalti il 2-2,5% di tangente e non il 4%».

Per favorire l’aggiudicazione dell’appalto si sarebbero adoperati Manna e Poziello. Il caposala, per sollecitare il pagamento della mazzetta dall’imprenditore, avrebbe anche minacciato di far intervenire esponenti del clan. In una nota, Manutencoop Facility Management afferma di essere «del tutto estranea alle ipotesi di reato oggetto di indagine contestate a tre dirigenti della società». «L’obiettivo è colpire la commistione tra organizzazioni camorristiche e mondo degli affari. Gli arresti di oggi (ieri per chi legge, ndr) costituiscono solo una tappa» dichiara il procuratore Beatrice in conferenza stampa. Nelle carte dell’inchiesta vi sono riferimenti, coperti da omissis, su ipotesi di voto di scambio e connessioni con l’inchiesta Consip.

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