Anche Salerno piange la terza vittima italiana 

Carmen Lo Pardo aveva in città una cugina e i nipoti medici Alfonso e Dante Due ragazze dei Picentini tra i testimoni: «Eravamo lì, abbiamo temuto di morire»

SALERNO. A Salerno Carmen Lo Pardo era venuta l’ultima volta vent’anni fa, in un viaggio in Italia che l’aveva portata a ritroso nei luoghi da dove, ragazzina, era partita insieme alla famiglia alla volta dell’Argentina. È lei la terza vittima italiana dell’attentato di Barcellona, e ieri la notizia è arrivata dalla Spagna fino alle case dei parenti salernitani, una cugina 97enne e i figli di lei, i medici Alfonso e Dante Lo Pardo, molto noti in città anche per l’attività professionale in ospedale. L’anziana zia, ottant’anni compiuti il 16 luglio, era a Barcellona in vacanza quando il furgone dei terroristi l’ha travolta sulla rambla. «Viaggiare le piaceva molto. Era una bella persona» ricorda il nipote Alfonso. E d’altronde Carmen Lo Pardo era abituata per lavoro a girare il mondo: era stata negli organici delle ambasciate, in servizio anche a Tel Aviv, e dopo essere andata in pensione aveva continuato a viaggiare anche quando era rimasta vedova.
Partita a 13 anni dalla cittadina lucana di Sasso di Castalda, aveva la doppia cittadinanza italiana e argentina. È stato il ministero degli Esteri di Buenos Aires a diramare la notizia della sua morte, dopo che il nome era stato inserito inizialmente in quello dei dispersi ed era stata diffusa una fotografia per agevolare le ricerche. Dal suo comune di origine, novecento abitanti in provincia di Potenza, è giunto ieri il cordoglio del sindaco Rocco Perrone, che si associa a quello del ministro degli Esteri Angelino Alfano (che ha contattato al telefono il figlio della vittima), di Aurelio Pace presidente della commissione Lucani nel Mondo e del presidente del Consiglio regionale di Basilicata, Francesco Mollica. «Siamo vicini – dichiara Mollica a nome dell’assemblea regionale – alla famiglia della nostra conterranea, che come tutte le altre vittime era in vacanza a Barcellona. In queste drammatiche circostanze il popolo lucano si stringe fraternamente alle famiglie delle vittime tutte, a quello spagnolo e a quello argentino che ha accolto tanti anni fa i nostri tanti conterranei emigrati, dandogli lavoro e serenità. È un attentato che ora colpisce direttamente anche la Basilicata e ci lascia sgomenti e addolorati».
Le testimoni. In attesa che da Barcellona siano rimpatriati i corpi delle vittime, sono in tanti i turisti, anche salernitani, che hanno deciso di anticipare il rientro a casa. Roberta Petrali, 26enne di Pontecagnano Faiano, e Marzia Di Vece di Bellizzi erano nel punto esatto dell’attentato quando il furgone ha iniziato la sua corsa folle. «Ora va meglio, siamo a casa. Ma sono stati momenti terribili – racconta Roberta – Quel furgone maledetto ce lo siamo trovati che ci veniva di fronte, puntava sulla folla, abbiamo visto la gente che saltava in aria». Si sono salvate rifugiandosi nel negozio Desigual che affaccia sulla rambla: «Io non capivo cosa stesse succedendo, lo choc mi aveva pietrificato, non riuscivo a connettere – spiega la 26enne – Invece Marzia ha capito subito, continuava a ripetere “è come a Nizza, come a Nizza”. È stata lei a trascinarmi nel negozio e a buttarmi a terra. Dall’esterno sentivamo i rumori provocati dallo schianto del furgone sul chiosco dei souvenir, ma sembravano spari, non sapevamo cosa stesse ancora accadendo lì fuori e non sapevamo se eravamo al sicuro». Dalle 5 del pomeriggio sono rimaste barricate sino alle 10 di sera, quando la polizia, che per ragioni di sicurezza aveva abbassato le saracinesche, ha consentito a tutti di uscire. Con loro c’erano altre ottanta persone, tutte terrorizzate. «Non posso dire che ci sentivamo al sicuro – continua la giovane – avevamo paura che con noi, lì dentro, potessero esserci anche dei terroristi. È stato il pensiero più ricorrente, se fosse stato così non avremmo avuto scampo. Io monitoravo l’Ansa dal cellulare, non volevo chiamare casa mentre ero ancora così spaventata ma appena la notizia si diffondeva dovevo avvisare mia mamma che ero viva».
A Barcellona erano arrivate poche ore prima, dopo la tappa a Valencia prevista dal viaggio prenotato alla Picentina Tour, che fissava a oggi la data del rientro. Quando sono potute rientrare in albergo il primo pensiero è stato quello di cercare un volo che al più presto le riportasse in Italia. «Siamo riuscite a trovare gli ultimi posti disponibili su un aereo per Napoli, e venerdì mattina siamo partite. Restare a Barcellona non aveva senso, non solo per ragioni emotive ma anche perché la città era blindata. Dall’hotel all’aeroporto il nostro taxi è stato fermato a tre posti di blocco. Poi mi ha meravigliato arrivare a Capodichino e non trovare controlli».
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