«Amnistia, atto riformista per una giustizia giusta»

Giuseppe Rippa rilancia il tema tanto caro a Pannella e ai Radicali italiani «Una questione di democrazia che tocca gli attuali equilibri di potere»

SALERNO. Amnistia o sistema criminogeno: Quaderni Radicali s’interroga sul tema «che dev’essere inteso – spiega Giuseppe Rippa, direttore del bimestrale politico – non come un mero atto di clemenza ma, al contrario, necessario per preparare le condizioni di un’azione riformatrice, cui far seguire interventi legislativi per una giustizia giusta e, quindi, efficiente. Solo il popolo – aggiunge Rippa – è depositario della sovranità: per questo Palmiro Togliatti avrebbe addirittura voluto che i magistrati fossero eletti dal popolo. Inoltre solo da noi i pubblici ministeri sono equiparati in tutto ai giudici».

Proprio per questo motivo Rippa ritiene che «l’amnistia sia un passaggio tecnico necessario per disboscare la massa che blocca la giustizia, in quanto la vicenda giustizia è oramai una questione politica, poiché va a toccare equilibri di potere». «Se i partiti - aggiunge - per motivi di responsabilità, sono stati spolpati dal loro ruolo storico, il punto che emerge è quello che con il loro tracollo abbiamo non solo una democrazia fittizia ma pure pochi attori. E questo perché puntare su un leader diventa una semplificazione, dando alle corporazione un ruolo essenziale».

L’amnistia non può prescindere dal condono. È questo il pensiero dell’ex avvocato generale della Cassazione, Antonio Siniscalchi. «Sento parlare di amnistia, di situazione gravissima nelle carceri – rimarca l’alto magistrato – ma non ho capito quali effetti potrebbe avere il provvedimento di clemenza sul sistema carcerario. In tanti anni di magistratura ho applicato diverse amnistie, tutte non superiori ai 4 anni di condanna. E non ricordo amnistie disgiunte dal condono. D’altronde quando si parla di amnistia il sistema è articolato, perché occorre che i 2/3 delle Camere siano d’accordo». È indispensabile, dunque, un’interlocuzione tra potere politico e giudiziario, ma l’impresa non è semplice.

«Da Mani pulite – rimarca Siniscalchi – la magistratura ha assunto un ruolo preponderante. Perché nel ’92 tanti politici hanno intravisto l’opportunità di liberarsi dei loro avversari attraverso un’ operazione di polizia. Da qui l’esaltazione del pool dei pm della procura di Milano, con l’avallo e il sostegno delle forze politiche. Sono proprio i politici, dunque, che hanno generato questo strapotere che impedisce qualsiasi dialogo. L’unico e solo grimaldello per scardinarlo è la riforma per l’elezione del Consiglio superiore della magistratura».

Donato Salzano, segretario dei radicali, punta il dito contro la magistratura di sorveglianza. «Fortunatamente - chiarisce - esiste una magistratura che difende ancora lo Stato di diritto, tant’è che Claudio Tringali, presidente vicario della Corte d’Appello di Salerno, ha ammesso che c’è un problema nel sistema. L’amnistia, in questo caso, oltre a rientrare nel campo dei diritti umani, assume pure una valenza economica, in quanto i costi della giustizia, che secondo uno studio di Confindustria rappresentano l’1% del Pil, si vanno ad aggiungere all’ enorme debito pubblico. Non ci può essere, però, un’amnistia senza indulto, tenendo conto che il carcere è un’appendice illegale di un processo penale altrettanto illegale».

Concedere l’amnistia, a detta di Emilio Fattorello, segretario nazionale del segretario nazionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, è una resa. E fa l’esempio di quando, durante un incontro di box «si vede lanciare sul ring dall’angolo di uno dei pugili l’asciugamano per manifesta inferiorità. Mi auguro, al contrario, che si cominci finalmente a parlare di una riforma strutturale della giustizia e del sistema penitenziario italiano, in quanto oggigiorno in galera restano solo i derelitti e chi non può permettersi di pagare un avvocato di grido».(g.d.f.)

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