All'ospedale di Salerno niente letti per le donne operate al seno

La protesta delle pazienti: «Costrette ad appoggiarci in altri reparti. E le liste d’attesa per l’intervento sono lunghissime»

SALERNO. Chiedono un reparto dotato di posti letto, per evitare di essere trattate come palline da ping pong ogni qual volta sono costrette al ricovero. Più sedute operatorie, per snellire quelle liste d’attesa che obbligano a contare fino a 180 giorni, in caso di patologie benigne, prima di poter essere sottoposte a un intervento. E più attenzione, non solo per quante combattono quotidianamente contro un cancro al seno, ma anche per i medici, gli infermieri e i volontari dell’associazione “Angela Serra” che ogni giorno si fanno in quattro per rendere meno pesanti le attese e stemperare ansie e dolori.

La protesta. A capo di una mobilitazione tanto garbata quanto decisa, c’è Lidia Avossa, che si è fatta promotrice di una petizione, lanciata anche via Facebook, per sensibilizzare i vertici del Ruggi e spingerli a investire risorse su una struttura – la Breast Unit – che merita di più. «Nel novembre 2015 sono stata presa in cura per un carcinoma mammario di circa tre centimetri; a seguito di esami diagnostici­ di vario livello sono stata sottoposta a dicembre a una biopsia incisionale, successivamente sono stata trattata con cinque sedute di chemio neoadiuvante presso il reparto di oncologia per ridurre la massa tumorale, infine il 10 maggio nuovamente sottoposta a intervento chirurgico di quadrantectomia e svuotamento ascellare», racconta Lidia, che conosce molto bene i problemi della Breast Unit per averli vissuti sulla propria pelle. «Abbiamo deciso di fare una petizione per sollevare uno sdegnato e condiviso grido di protesta, e denunciare la costante e continua mancanza di attenzione verso le pazienti affette da patologia mammaria tumorale, che necessitano di cure tempestive ma che invece sono obbligate a lunghi tempi d’attesa a causa dell’unica seduta operatoria settimanale del martedì e della mancanza di un reparto dedicato alla degenza. Protesto vivamente – incalza la donna – per il precario modus operandi da terzo­ mondo e per le mille difficoltà cui sono obbligati e sottoposti, loro malgrado, i bravissimi medici e paramedici della Breast Unit che non disponendo di un proprio reparto in cui accogliere le pazienti trattate, sono costretti a chiedere ospitalità­ ad altri pur di operare e salvare vite! ­Una vergogna!».

Il tour nei reparti. Fino a dicembre le donne affette da patologie mammarie venivano temporaneamente ricoverate nella divisione di Ginecologia. Poi, dopo la chiusura di San Severino e Cava, il reparto ha rischiato l’overbooking e dunque le pazienti della Breast sono state ospitate presso il reparto di Chirurgia generale dell’Azienda di via San Leonardo. «È risaputo che anche le patologie benigne vanno attentamente monitorate, eppure in questa guerra tra poveri cui siamo costretti, il paradosso è che in una diagnosi infausta di tumore maligno, una paziente, per la precedenza spettante alla gravità patologica, possa vedere una scorciatoia per affrontare la propria malattia». Per i tumori benigni, infatti, i tempi d’attesa arrivano fino a 180 giorni. «Per noi malati di cancro, il tempo è un lusso che non possiamo permetterci. Eppure nonostante le tante difficoltà che viviamo sulla nostra stessa pelle, e nonostante i tempi di attesa e le liste che­ si allungano sempre più, veniamo seguite­ non solo con scienza e coscienza, ma anche con un amore e un’umanità di indicibile rarità dalla dottoressa Maria Lamberti, dal dottore Gerardo Siano e da tutto lo staff medico, paramedico e dalla meravigliosa accoglienza delle volontarie della associazione “Angela Serra”».

La petizione. Perché dunque alla Breast Unit non vengono riconosciuti da anni un reparto proprio e più­ di una seduta operatoria settimanale? «Noi donne con patologie mammarie siamo forse esseri di serie B? Forse la nostra malattia non è ritenuta degenerativa e mortale? – si chiede Lidia Avossa – Non siamo bestie, abbiamo una dignità». Le pazienti della Breast non sono intenzionate a mollare: la raccolta firme, oltre che finire sulle scrivanie dei manager del Ruggi, sarà poi indirizzata al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e al Ministero, con la speranza «di poter vedere riconosciuti i nostri diritti e di avere la giusta attenzione».

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