Aliberti: «Dopo cinque mesi i manifesti sono ancora lì» 

L’ex sindaco attacca sulle affissioni funebri, una delle cause dello scioglimento «Nel decreto si parla del mancato abbattimento ma dopo di me è tutto fermo»

SCAFATI. L’ex sindaco Pasquale Aliberti continua la sua battaglia contro lo Stato che lo ha portato prima a dimettersi e poi a vedere il Comune di Scafati sciolto per infiltrazioni camorristiche. Nel mirino finiscono sempre i commissari ministeriali che guidano l’Ente dallo scorso febbraio. La triade guidata dal prefetto Gerardina Basilicata, infatti, è diventata il bersaglio principale per il politico di Forza Italia che, da “cittadino libero”, come ama definirsi, spiega la sua versione dei fatti agli scafatesi attraverso post pubblicati a raffica su Facebook e inviati su Whatsapp a collaboratori e fedelissimi.
Una strategia comunicativa aggressiva, culminata con la decisione di affidare la propria difesa all’avvocato Silverio Sica e in attesa di avere notizie sulla fissazione dell’udienza al Riesame che dovrà ridefinire le misure cautelari sul suo conto dopo la decisione della Cassazione.
Attacchi senza filtri, che stavolta l’hanno portato ad approfondire la vicenda dei totem pubblicitari legati alle affissioni funerarie. Una vicenda che è costato lo scioglimento per camorra a Palazzo Mayer e lo vede indagato da quasi due anni dalla Procura Antimafia. «Nel decreto di scioglimento per camorra si parla, in più pagine, del mancato abbattimento dei tabelloni funerari. A distanza di più di cinque mesi di commissariamento i vecchi tabelloni sono ancora lì in attesa che vengano sostituiti e installati i nuovi impianti», ha spiegato. Le strutture di cui parla Aliberti, dopo l’inchiesta della Dda, sono stati affidati alla Geset, la società esterna che gestisce per il Comune tributi locali e affissioni pubblicitarie. «La cosa più simpatica è che ogni impresa funebre si autogestisce nell’affissione. Anzi, addirittura, oltre le imprese funebri scafatesi, affiggono i manifesti anche imprese di paesi limitrofi. Basta leggere i manifesti».
Aliberti non la cita mai, ma il riferimento è chiaro alla ditta collegata al clan Matrone, tirata in ballo dal prefetto Salvatore Malfi nel decreto di scioglimento e per cui l’ex sindaco avrebbe svolto una consulenza da medico del lavoro. «Qualcosa sarà cambiato o la questione proprio non mi torna. Alcuni forse erano camorristi solo prima oppure lo Stato si è distratto?». Parole cariche di rabbia, indirizzate anche ai magistrati che, dal settembre 2015, stanno indagando sulle sue attività e su quelle della moglie, la consigliera regionale Monica Paolino.
Lunedì alle 18, intanto, il vicepresidente della Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie, l’onorevole Claudio Fava, sarà in città, al cineteatro San Pietro, su invito del parlamentare di Articolo Uno-Mdp, Michele Ragosta, e del neonato circolo cittadino rappresentato da Ignazio Tafuro e Mirko Secondulfo, per un dibattito sul futuro della città.
Domenico Gramazio
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