Alba: non pagò i contributi, condannato 

L’ex amministratore Ferrara Spina perde anche in Cassazione perché gli obblighi previdenziali vanno sempre assolti

Lo Stato prima di tutto. Pure quando si tratta di metter mano alla cassa per riempiere le buste paga. Così i giudici della Corte di Cassazione rigettano il ricorso di Guido Ferrara Spina, ex amministratore di Alba Nuova, che viene condannato in via definitiva per aver pagato lo stipendio ai lavoratori della società in house prima di tirar fuori i quattrini degli F24 dei contributi. La pena, condizionalmente sospesa, è di cinque mesi di reclusione e di 880 euro di multa, e la Suprema Corte impone al manager settantaquattrenne il pagamento delle spese processuali e il versamento di un’altra ammenda da 3mila euro.
Il manager è colpevole del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali: è l’epilogo di una storia che ebbe inizio otto anni fa. Era il 2010 e Ferrara era il numero uno della partecipata comunale che si occupa d’igiene e di manutenzione per conto di un’unico cliente: la città di Battipaglia, proprietaria della società “in house”. In quegli anni, il Comune aveva maturato parecchi debiti verso Alba Nuova: oltrepassavano i 5 milioni di euro. E a via Rosa Jemma, nella sede della società, per pagare gli stipendi bisognava raschiare il fondo della cassa: tra febbraio e agosto del 2010, quindi, Ferrara ha deciso di «obbedire ad un obbligo morale e sociale nei confronti dei dipendenti e delle famiglie», come si legge nel ricorso. Con i soldi che c’erano, il manager, in quei sette mesi, ci ha pagato gli stipendi dei dipendenti di Alba Nuova, non versando 175mila euro di ritenute previdenziali ed assistenziali: in quei tempi, negli uffici dell’Inps, non c’era neppure un F24 con la firma dell’amministratore di Alba Nuova. Ed è un reato, tant’è che nel 2016 le toghe del Tribunale di Salerno avevano già condannato Ferrara, che aveva optato per un secondo round in Corte d’Appello: gli è andata male anche lì, visto che a novembre 2017, in secondo grado, la condanna è stata confermata.
A quel punto, il ricorso per Cassazione. Invano: la settima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Aldo Cavallo, lo ha rigettato, ritenendolo «inammissibile», perché riproponeva le stesse doglianze dell’appello precedente, e «manifestamente infondato». La Suprema Corte ribadisce che «il reato è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti in modo da adempiere all’obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare».
Una situazione simile a quella dell’ex manager, Luigi Giampaolino, revocato a luglio 2018 dalla sindaca Cecilia Francese: l’ingegnere napoletano aveva chiesto alla sindaca di versare circa 600mila euro per poter pagare gli F24 arretrati, ed oggi, con un pool di legali capitolini, prepara l’assalto giudiziario a Palazzo di Città.
Carmine Landi
©RIPRODUZIONE RISERVATA