Al processo la “verità” di Petrosino

Il paganese Tonino, figlio di Gioacchino “spara spara”, è alla sbarra con l’accusa di sequestro di persona e violenza privata

PAGANI. Ha spiegato le sue ragioni in collegamento dal carcere di Novara, il presunto boss Antonio Petrosino D’Auria, imputato di sequestro e violenza privata aggravata ai danni di Maurizio De Ruvo, picchiato e punito per un tentativo di frode: Petrosino, alla sbarra insieme a suo padre Gioacchino, detto “spara spara”, a Luigi Fezza, figlio del boss Tommaso, e a Raffaele Calabrese, ha parlato con la modalità delle dichiarazioni spontanee, vale a dire senza domande, spiegando le circostanze pregresse rispetto a quanto gli viene contestato in aula.

«Dovevo sposarmi, io e mia moglie volevamo comprare un appartamento e stipulammo un preliminare d’acquisto con i De Ruvo. Ma ci furono problemi – ha riferito Petrosino – pagammo delle spese per dei lavori alla casa e pagammo anche dei soldi per l’inquilina che occupava l’appartamento prima di noi. Con i De Ruvo ci conoscevamo, ci fu una cena a novembre del 2003. Quella sera De Ruvo se ne andò, sentimmo i familiari nelle scale, dicevano che De Ruvo era dai carabinieri. Poi di colpo dalla sera alla mattina andarono via, lasciando debiti ovunque. Dal salumiere al benzinaio. Così mi sono informato, chiesi cosa era successo. Volevo definire la mia situazione in sospeso».

L’udienza di ieri, che prevedeva la discussione da parte del pubblico ministero in aula, ha registrato la decisione di Petrosino, che ha chiesto e ottenuto di rilasciare delle dichiarazioni, con la successiva istanza di nuovi testimoni presentata dal suo legale, Giuseppe Della Monica. I giudici del primo collegio hanno disposto altre due udienze, una delle quali, il prossimo 28 giugno, sarà dedicata all’audizione di quattro testimoni presenti o informati sulle circostanze della cena di novembre, con l’udienza successiva del 12 luglio riservata invece alla discussione per chiudere il primo grado.

Sulla vicenda processuale fu ascoltata nelle scorse udienze anche la moglie di Petrosino, Rita Fezza, che riferì dell’acquisto dell’appartamento effettuato da suo marito, circostanza fondante delle attuali accuse. In quella circostanza venne fuori il pagamento di settantamila euro pattuiti e la successiva scoperta di un’ipoteca, con l’ulteriore racconto dell’esponente del clan Fezza-D’Auria, per gli inquirenti a capo dell’intero gruppo criminale della Lamia. Antonio Petrosino D’Auria, nel racconto-denuncia, poi parzialmente ritrattato in aula da De Ruvo, comparì a Rimini, dove lui si era trasferito, per la punizione contestata: D’Auria sarebbe giunto in compagnia di un altro uomo nella città dove lui si era trasferito, con il successivo sequestro prima in un garage poi nel bagagliaio di un’auto, culminato nel pestaggio in una zona di campagna, con avvertimenti ad abbandonare Pagani e a non denunciare.

Alfonso T. Guerritore

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