Il caso

Affare migranti, ora indagano due Procure

Dei 52 milioni spesi tra il 2011 e 2012 una parte finirono nel Salernitano. L’Anticorruzione ha trasmesso la sua relazione ai pm e alla Corte dei Conti

SALERNO. Un miliardo e 300 milioni di euro: tanto costò all’Italia la “primavera araba” che, fra marzo e settembre del 2011, fece arrivare sulle nostre coste più di 60mila profughi da Libia e Tunisia. Nella sola Campania, per l’accoglienza, si spesero 55,4 milioni, a fronte di una presenza, al dicembre 2011, di 2341 nordafricani: 900 tra Napoli e provincia; il resto (1.441) tra Salerno, Avellino, Benevento ed altri piccoli comuni. Ed è su queste cifre, sulle spese, sugli affidamenti che ora dovranno indagare la Procura di Napoli e la Corte dei Conti a cui, nei giorni scorsi, l’Anac, l’Autorità anticorruzione guidata dal magistrato Raffaele Cantone, ha inviato una lunga relazione, evidenziando una serie di gravi anomalie. Un’inchiesta che investirà anche Salerno, tra le protagoniste dell’accoglienza di profughi nordafricani fino al 31 dicembre 2012 quando, finì l’emergenza e le competenze passarono al Ministero dell’Interno.

La Regione e le spese. L’avvio dell’intera vicenda ha una data precisa: il 12 febbraio 2011, quando il Governo Berlusconi dichiara lo stato di emergenza umanitaria sul territorio nazionale «in relazione all’eccezionale flusso di cittadini dai paesi del Nord Africa». La patata bollente è affidata alla Protezione civile che, per attuare i programmi di intervento, poteva avvalersi dei cosiddetti “soggetti attuatori”, uno per ogni regione, per realizzare con procedure d’urgenza strutture per il ricovero e l’accoglienza dei cittadini extracomunitari. Per la Campania, il capo della Protezione civile di allora, Franco Gabrielli, su proposta del presidente della Regione, Stefano Caldoro, nominò l’assessore ai Lavori pubblici e Protezione Civile, Edoardo Cosenza.

I contratti e le spese. In poco meno di due anni, dal 14 aprile 2011 al 31 dicembre 2012, la Regione stipulò, con affidamenti diretti, 67 contratti, di cui: 43 (più 5 rinnovi) con strutture alberghiere/ricettizie facenti capo a soggetti privati e con finalità lucrative; 24 contratti (più 1 rinnovo) con strutture ricettizie facenti capo a enti/soggetti con finalità non lucrative (mutualistiche). Il tutto con un valore complessivo di oltre 55 milioni di euro. Ma come furono individuate le strutture in cui accogliere i profughi? In una prima fase si fece riferimento a strutture di ospitalità pronte all’accoglienza, già utilizzate in situazioni analoghe «e positivamente referenziate dalle Forze dell’ordine», secondo criteri di localizzazione concertata, anche tenuto conto di specifiche problematiche e tensioni di livello locale.

Le strutture alberghiere, in prima fase, furono segnalate dal prefetto di Palermo, che le aveva attivate nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza Immigrazione, al quale il Capo Dipartimento della Protezione Civile subentrò nella gestione dell’emergenza. Quando queste strutture non risultarono più disponibili, il soggetto attuatore fece riferimento alla Caritas Diocesana ed alla Federalberghi, che indicarono le strutture disponibili o tramite elenchi, o tramite le vie brevi. Esaurite anche queste furono utilizzate le strutture di accoglienza delle associazioni di volontariato, iscritte nel Registro regionale della Campania. Sempre il soggetto attuatore stipulò un contratto con la società E.P. S.p.a. per la fornitura dei buoni sociali (cd. pocket money) «in base al quale è stata corrisposta alla stessa una somma pari a 2,8 milioni».

Le contestazioni dell’Anticorruzione. Le indagini dell’Anticorruzione hanno svelato, si legge nella relazione, «numerosi profili di anomalia» nella gestione dell’emergenza migranti». Le criticità individuate riguardano diversi aspetti della gestione dell’emergenza: «non risultano essere stati espletati, in capo ai soggetti gestori delle strutture di accoglienza dei migranti, i controlli sul possesso dei requisiti di carattere morale; non risultano effettuate le verifiche antimafia previste dalla legge; non è stato acquisito il Cig (Codice identificativo gara) relativamente ai contratti stipulati con i gestori dei servizi di accoglienza, con conseguente elusione della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari; la determinazione del corrispettivo giornaliero corrisposto alle strutture ospitanti non reca adeguata motivazione richiesta dalla Circolare del Capo del Dipartimento di Protezione Civile; sono state riscontrate carenze di adeguati controlli e verifiche sui soggetti gestori delle strutture ospitanti, sia nella fase prodromica alla stipula dei contratti che nella fase successiva di esecuzione contrattuale; per la fornitura di pocket money da parte della E.P. spa, l’individuazione del contraente, avvenuta in forma diretta, non risulta conforme al principio di libera concorrenza; la consegna dei pocket money non è avvenuta in conformità al contratto sottoscritto con la E.P. spa, in quanto, non essendo state raccolte le firme di avvenuta ricevuta dei buoni da parte degli aventi diritto, non è possibile attestare l’effettiva consegna degli stessi; né il Soggetto Attuatore ha espletato le opportune verifiche; e per la convenzione con la Onlus Un’Ala di Riserva, la liquidazione del contributo giornaliero riconosciuto contrattualmente all’appaltatore è stata effettuata in assenza di riscontro dell’effettiva presenza dei migranti all’interno della struttura, poiché i fogli presenza non risultano sottoscritti dagli ospiti». Fin qui le contestazioni dell’Anticorruzione, ora al vaglio di procura e Corte dei Conti.

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