Addio al docente Renato Aymone 

Ieri i funerali dell’italianista e poeta salernitano che aveva insegnato all’Università

Docente universitario, professore emerito a Salerno, critico letterario e poeta, ermetico lui stesso e studioso degli ermetici meridionali, questi era Renato Aymone, e niente più di questo scriveva sulle quarte di copertina dei suoi libri. Si era congedato dall’insegnamento nel 2016. Un improvviso malore notturno lo ha colto mercoledì nella sua abitazione di via Irno. È stato immediatamente soccorso, ma per lui non c’è stato niente da fare. Era nato ad Altavilla Silentina nel 1946, il padre era il veterinario condotto, napoletano, la madre Vittoria Belmonte, un medico del paese che morì a seguito del parto. Un evento drammatico che segnò il suo rapporto con il paese che lasciò ancora piccolo.
Prima Salerno e poi Perugia furono i suoi luoghi di studio. Altavilla Silentina restò nella sua ricerca di senso e di vita. Si segnalò a livello nazionale come critico e studioso di Tommaso Landolfi e Leonardo Sinisgalli. Una personalità che della discrezione, della ritrosia e del non mostrarsi faceva il suo principale tratto caratteriale. Una frase di Leonardo Sinisgalli (“Forse siamo in pochi a lamentarcisi non saper più trovare una patria fuori dalle dolci colline”), Aymone volle metterla come incipit di un suo scritto che comparve nel libro “La collima degli ulivi” dove un nutrito gruppo di autori faceva i conti con l’identità paesana.
“Quando son tornato, o tomo qualche volta ad Altavilla, mi coglie per la salita dei Frangi un senso di soggezione, di straniamento, che cresce passando per piazza Castello. Scantono in via del Borgo, fino a quando mi infilo, costeggiando il sagrato del Carmine, nel portoncino della mia casa materna”. Dopo i ricordi dei canti e dei suoni di un quartiere che gravitava su una frequentatissima chiesa. “Ho fatto presto a sbarazzarmi della mia nostalgia di Altavilla. Per sopravvivere. Lo stress ecologico fu un inferno quando venni spedito lontano dalle sue mura. È allora che sono morto la prima volta. È allora che dovevo morire sul serio. Dopo fu perfino troppo facile abituarmi ad altri cieli, ad altre facce, ad altri paesi”. Poi Aymone passa ad elencare una serie di personalità del suo tempo, non i “noti”, ma i banditori, il facchino che aveva una sua divisa sulla quale collezionava medaglie, spesso di latta, di tutte le fogge. Su tutti loro invoca l’attenzione di Alfonso Gatto. Molti i messaggi di cordoglio da parte dei docenti dell’Università di Salerno e di molti studenti della facoltà di Lettere che ricordano la sua passione per la Letteratura alla sua meticolosità nelle spiegazioni. Ieri mattina l’ultimo saluto nella Chiesa di San Paolo a Salerno.
Oreste Mottola
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