Addio a Giancappetti Artista figlio del mare

Scomparso all’età di 85 anni nella Salerno che tanto ha amato. Nelle sue opere i colori e le sfumature della Costa d’Amalfi dove visse per anni nel faro di Capo d’Orso col padre capo fanalista

«Correva l'anno 1936. Mio padre, Nicola Cappetti, fu promosso capo fanalista al porto e ci trasferimmo a Salerno. Una promozione conquistata sul campo, dopo anni di eremitaggio nello splendido scenario selvaggio del faro di Capo d'Orso, dove papà aveva lavorato molto bene, distinguendosi per la sua serietà e la massima cura delle lanterne». Così, Giovanni Cappetti, in arte Giancappetti, raccontava a “la Città” di quando lo scalo marittimo di Salerno è entrato nella sua vita. L’artista e uomo di cultura salernitano è deceduto nella sua città all’età di 85 anni, lasciando un vuoto nel mondo artistico.

Il racconto della sua vita in un’intervista rilasciata a “la Città” non molto tempo fa. Papà Nicola era nato nel 1898 ed era stato sommozzatore nella prima guerra mondiale. Nel secondo conflitto bellico, invece, gli affidarono un altro incarico di responsabilità: «Il controllo del fanale più delicato- prosegue il figlio - quello al termine della banchina. I fanali erano in tutto tre e in clima di guerra furono realizzate altrettante casematte, ovvero tre piccole calotte-bunker dove papà doveva rifugiarsi durante i bombardamenti, senza mai abbandonare il suo posto di fanalista. Le lampade funzionavano ancora ad acetilene». Giovanni ci spiegava come il mare popolasse le stanze della sua memoria: «Di motori ce ne erano pochi. Le barche erano quasi tutta a vela, sia quelle piccole dei pescatori che quelle grandi, i piroscafi per il trasporto merci e passeggeri. Per quanto concerne gli scafi commerciali c'erano quelli locali e quelli che andavano lontano. Questi ultimi partivano carichi di zolfo per la Sicilia e tornavano pieni di salgemma. Mi ricordo poi come se fosse ieri la partenza di un grande piroscafo, pieno di soldati, per l'Etiopia: fu proprio nel primo anno di trasferimento al porto di Salerno».

Come abitazione, i Cappetti alloggiavano nella Casa del Fanalista «che sorgeva sul suolo dove adesso c'è il Genio Civile; l'edificio non era quello a semicerchio di oggi ma un altro, andato completamente distrutto dalle bombe». Attorno erano operativi diversi cantieri: «il Soriente, il Musella e poi le officine Vigliar specializzate in motori ed ingranaggi». La zona del porto è legata anche ai ricordi dei giochi d'infanzia, quando «si scontravano sul campo diverse bande di ragazzini. Io facevo parte di quella di ’Ncoppa e cchioppe, poi c'erano i ragazzi di Madonna del Monte, la banda del Campo e altre. Spesso ci scontravamo e ce le davamo di santa ragione».

Classe 1928, Giovanni ricordava che faceva la seconda elementare quando venne a Salerno: «Frequentavo la scuola Barra. Dopo la prima casa a pochi metri dal mare, ci spostammo nel vicino quartiere della Fornelle, in via Esposito, una strada che non esiste più, completamente distrutta dall'alluvione, come del resto quasi tutto il borgo marinaro originario. Era un borgo di pescatori, la loro vita era essenzialmente legata al mare». Sarà per questo che Giancappetti non ha più dimenticato i colori e le iridescenze del mare notturno illuminato dalle lampare: «Ho provato e studiato per anni la ceramica, per migliorare sempre l'effetto, per avvicinarmi il più possibile a quelle sfumature, a quelle tonalità dell'elemento marino, ai riflessi ed alle trasparenze dell'acqua, ai colori che il nero notturno rivelava sotto la luce della lampada. Sono cresciuto vedendo partire le lampare dal porto».

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