Abusivismo: ma come è dura abbattere

Il magistrato Giannelli: «Difficile trovare un’intesa con i Comuni. Il rischio prescrizione è altissimo»

Prescrizione, mancanza di fondi e reiterazione dei presunti abusi di necessità. Sono queste le cause che più di altre frenano le demolizioni dei manufatti ritenuti abusivi. «L’abbattimento è il segno più tangibile del ripristino della legalità, ma la strada è ancora in salita», considera Antonella Giannelli, sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello. Secondo i dati dell’ufficio demolizioni, nel distretto di competenza della Procura generale salernitana, nel periodo che corre tra il 2008 fino al 17 febbraio 2017 sono 532 le ingiunzioni a demolire; 268 i decreti di archiviazione; 245 le richieste di finanziamenti; 255 i conferimenti di incarichi a ditte e imprese. In particolare, sono stati definiti, fino ai primi due mesi del 2017, 344 beni e ne restano pendenti 256. Di quelli che sono venuti giù 172 sono stati demoliti dai proprietari e 22 attraverso la procedura d’ufficio. In totale, invece, (per questa prima fase dell’anno) le archiviazioni risultano 22.

Di queste, 12 per demolizione e 3 per avvenuta sanatoria. «Gli avvocati ormai puntano alla prescrizione piuttosto che all’assoluzione bloccando di fatto il procedimento, inoltre – continua il magistrato – andrebbero messe in campo delle strategie di prevenzione più efficaci oppure si dovrebbe ritornare a prevedere funzioni analoghe a quelle che erano del Pretore». Un ulteriore ostacolo che si frappone riguarda i Comuni e la difficoltà nel trovare soluzioni condivise attraverso i protocolli d’intesa che dovrebbero facilitare le procedure. Su tutti è emblematico il caso di Cava de’ Tirreni dove l’amministrazione si oppone, ormai dal 2010, all’abbattimento di una serie di immobili che sono stati riconosciuti come abusivi e che andrebbero distrutti.

«In questi anni – considera Giannelli – le amministrazioni che si sono susseguite hanno continuato a produrre delibere che dichiaravano housing sociale questi stabili. E questo nonostante su quelle aree insistesse un vincolo paesaggistico e il veto della Soprintendenza a costruire». In barba ai divieti, l’amministrazione ha provato a eludere i diktat stabilendo che la decisione su questo aspetto spettasse all’autorità comunale. Prese di posizione che la Cassazione ha ritenuto illegittime. Nonostante le sentenze sfavorevoli, però, si è continuato a procedere con continui ricorsi. Il risultato è che da una parte, a colpi di delibere e ricorsi in Cassazione non si riesce a demolire questi beni, dall’altra si continuano a spendere i soldi dei contribuenti. Altra questione nodale quella del reperimento dei fondi per le demolizioni sottoposti a procedure spesso estremamente lunghe. «In questi anni – spiega Giannelli – siamo riusciti a ottenere dei fondi per il ripristino laddove si è riscontrato un interesse pubblico o ci fossero stati dei problemi nelle demolizioni. Tuttavia il problema economico (i soldi arrivano dalla Cassa Depositi e Prestiti, ndr) resta un ostacolo gravoso. Così come è fondamentale che da parte dei Comuni si consideri l’interesse pubblico e il ripristino della legalità e non si pensi semplicemente al consenso elettorale».

Eleonora Tedesco

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