L'OPINIONE

25 Aprile, la lezione dei nostri padri e l’educazione alla Libertà

Giustizia e pace sono due dei valori affiorati dalla lotta di Liberazione

Giustizia e pace sono due dei valori affiorati dalla lotta di Liberazione. Gli uomini nuovi della democrazia li vollero immortalare nella Carta fondamentale della Repubblica e pretesero che fossero guida sicura per ogni futuro, al fine di sostenere l’intero edificio della Costituzione e del Paese che stava rifondando se stesso. Essi ne segnano quotidianamente il percorso, nello svolgimento della Costituzione materiale da attuare e nella memoria di ciò che fu negato. Perché la giustizia?

L’articolo 3 della Costituzione afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il significato è dirompente rispetto al passato; lasciato alle spalle con il 25 aprile. La Repubblica sostiene la società in modo da fare da supporto ai deboli, facendosi carico delle esigenze, dei bisogni e delle speranze. E perché la pace? L’articolo 11 della Costituzione afferma poi il ripudio della guerra e affida addirittura alla Repubblica stessa il compito della costruzione di un ordinamento di pace tra le nazioni.
Anche in questo caso il significato non ammette dubbi: la pace come costruzione di un ordine futuro che dirompe con un passato guerriero e di aggressione. Una svolta!

La Liberazione, e la Resistenza che la preparò, come ebbe ad affermare Norberto Bobbio, furono, innanzitutto sul piano della filosofia della storia, un cambio di paradigma, che, cominciando dalle scelte personali (eticamente diverse!) dei suoi interpreti ed eroi, mutò il corso stesso della storia nella concezione del rapporto tra gli individui e nel rapporto tra costoro e lo Stato. Fu ritrovato il corso naturale della storia stessa - secondo Croce - nella progressiva diminuzione delle diseguaglianze, nella rottura delle barriere tra le nazioni, nella formazione graduale di un sistema internazionale di pace, solidarietà e fratellanza. Rompendo col passato, dando una prospettiva diversa.

Fino a quel momento - è bene ricordarlo - vi fu la negazione radicale di ogni principio di democrazia e dunque del conseguente sviluppo di una società verso l’apertura sempre più ampia di tutte le libertà, civili e politiche. Vi fu il tentativo, immaturo, di dare corpo e sostanza ad un sogno folle; uccidere Chronos, fermare il tempo, nell’illusione di spodestarlo dal ruolo di compagno naturale della progressiva crescita libera e critica del cittadino. Solo così sarebbe stato possibile mantenere il controllo, conculcando le libertà e, conseguentemente, il progresso, appunto. Ma ci si ribellò.

Ed oggi, che viviamo di nuovo tempi oscuri ed incerti, in cui soprattutto i giovani hanno bisogno di guardare con maggiore fiducia al domani, ad essi bisogna rivolgersi.
Occorre ricordare loro ciò che fu lo strumento decisivo per “uscire a riveder” la luce della democrazia: la ragione e la critica, contro l’oscurantismo del pensiero unico.
Armi formidabili che si conquistano - per sempre - con la cultura e lo studio. L’educazione alla libertà viene dalla ragione e questa (contro la paura) dalla consapevolezza di appartenere ad una comunità, cui se ne affiancano altre, con la propria storia ed il proprio bagaglio di umanità. Nei giorni che stiamo vivendo, allora, mai fu più utile ed attuale il pensiero di Vico, il quale nel De mente heroica invitava a guardare alla scuola e all’università perché lì i giovani imparino le libertà, difendendosi dalle intolleranze.