L'EDITORIALE

25 Aprile, il Paese e l’unità necessaria: costruiamo così il futuro

E' una festa della Liberazione carica di significati che vanno al di là della data

Quello di oggi è un 25 Aprile carico di significati che vanno al di là della data che segnò la vittoria della Democrazia sulla barbarie nazifascista. Domani, infatti, molte regioni italiane saranno nella fatidica “zona gialla”: le persone potranno iniziare a muoversi con maggiore libertà, apriranno ristoranti e locali insieme a cinema e musei. Si torna dunque lentamente alla normalità, dopo un lungo periodo di paura e di lutti. Questo non deve voler dire però mettere da parte le minime prescrizioni di sicurezza: perché, occorre ricordarlo, il pericolo del virus è lì, incombente. È comunque una ripresa necessaria, una porta aperta sul futuro, un ricominciare non più procrastinabile. Il piano vaccini - seppure tra mille difficoltà e inefficienze - inizia a dare i suoi frutti; c’è una maggiore consapevolezza del pericolo in gran parte degli italiani. Ma bisogna rimboccarsi le maniche e andare avanti: lo dobbiamo alla nostra storia, ai nostri figli, al sacrificio dei nostri padri che lottarono per la Libertà.

Del resto la lezione che ci viene dal 25 Aprile è proprio questa. Nel 1945 l’Italia era sotto le macerie, allo sbando e in piena guerra civile. Il ventennio fascista aveva segnato il paese con la vergogna delle leggi razziali, l’alleanza di Mussolini con Hitler e il conseguente sanguinoso conflitto mondiale. La democrazia calpestata, i diritti cancellati, i corpi ammassati nei campi di sterminio. Eppure gli uomini e le donne della Resistenza e l’unione tra tutte le forze politiche - che proprio a Salerno segnò la svolta nella lotta al nazifascismo - ci portarono fuori dall’incubo, fino alla proclamazione della Repubblica e alla Costituzione. Quegli uomini, quelle donne, quel popolo ricostruirono il Paese. Ma soprattutto diedero una prospettiva di speranza. Perché il 25 Aprile non è solo la Festa della Liberazione ma, soprattutto, della Pace in un’Europa dilaniata dalla tirannia.
Oggi dobbiamo fare i conti con un nuovo nemico, il Covid. Ancora una volta gli italiani sono chiamati a un’assunzione di responsabilità, perché solo così si potrà uscire dal tunnel.
Unità, dunque. Ecco perché le ultime uscite del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, suonano stonate e fuori luogo. La sua bulimia comunicativa - che sfocia molto spesso in un compiacimento narcisistico di sé stesso e delle proprie iniziative di governo - è improduttiva e sterile. Anzi, quando attacca il Governo nazionale sul tema dei criteri di distribuzione dei vaccini parlando di “delinquenza politica” si spinge su un crinale molto pericoloso superato il quale c’è solo il libero arbitrio. Ancor più grave, poi, il discredito lanciato a piene mani sullo Stato quando parla di dati “falsi” sui contagi, anteponendo quelli “veri” forniti da lui attraverso le dirette social.

Un concetto “autarchico” della cosa pubblica, dove le ordinanze di un governo debole - il famigerato e mai rimpianto Conte bis - erano quotidianamente sbeffeggiate, con alcuni ministri messi alla berlina un giorno sì e l’altro pure. Come se la Campania fosse “altro” rispetto al Paese e all’Europa, sono stati firmati provvedimenti in contrasto con quelli dell’esecutivo nazionale. Un continuo contraltare che ha alimentato il clima di insicurezza, risvegliando pulsioni di stampo neofascista inevitabilmente sfociate in scontri violenti in piazza, con poliziotti aggrediti e arresti. Una deriva arginata solo in parte dalle recenti pronunce della Corte Costituzionale che ha riportato in capo agli Stati la competenza nella gestione della sanità in periodo di pandemia, mettendo così fine alla scellerata interpretazione ad usum delphini della riforma del Titolo V della nostra Carta.

Venerdì scorso De Luca si è spinto addirittura oltre, criticando il commissario Figliuolo non solo per la gestione del piano vaccinale, ma addirittura per la divisa indossata dal generale chiamato a svolgere invece un servizio civile. Il governatore mostra così di non conoscere affatto la storia professionale e umana di Figliuolo: un servitore dello Stato impegnato in prima persona nelle missioni di pace in Afghanistan e in Kosovo, solo per fare qualche esempio. Missioni di pace, non ostentazione di forza o peggio. Ecco perché il richiamo all’unità di intenti ribadito ieri dal Presidente Mattarella è necessario e urgente. Ci sarà un tempo per criticare e dileggiare, ma questo è il giorno della Liberazione e della Pace. Buon 25 Aprile a tutti noi.