ALIMENTAZIONE E SALUTE

Il fritto fa davvero male?

Come farlo in modo corretto e sano

di Arianna Bruno

Frittura sì, frittura no: il dilemma di tutti i golosi che vogliono far attenzione alla linea. Croce e delizia dei buongustai, bistrattata da molti esperti dell’alimentazione, questa modalità di cottura ha una storia lunga e travagliata, fatta di influenze e cambiamenti. Le sue origini risalgono a ben 2500 anni fa, in Egitto. Fu proprio la patria della Sfinge e dei faraoni, infatti, a darle risalto. Il suo successo, però, arrivò dopo, nella terra della multiculturalità: Roma. Qui la frittura divenne il metodo privilegiato per la cottura degli alimenti. Fatta eccezione per la carne, infatti, i cibi che venivano presentati durante i ricchi e sontuosi banchetti che si tenevano nelle domus dei patrizi erano fritti in olio di oliva o strutto. E non solo: quello che era considerato lo street food dell’epoca era costituito principalmente da fritti. Le numerose botteghe di friggitori, dette tabernae (di cui restano alcune testimonianze a Pompei), erano luogo privilegiato per i viaggiatori e per le persone appartenenti alle classi più abbienti. Con l’arrivo del Medioevo, lo strutto iniziò ad essere il grasso maggiormente utilizzato per la frittura, che continuò a diffondersi come modalità di cottura dei cibi consumati per strada. La frittura è famosa in tutto il mondo ed ogni Paese conserva una tradizione legata ad essa, ma, negli ultimi anni, col diffondersi di numerose tendenze salutiste, è stata spesso messa da parte poiché considerata dannosa per la salute. Abbiamo chiesto alla dottoressa Paola Buoninfante, biologa nutrizionista specializzata in Bioterapia Nutrizionale, se è vero tutto ciò che si sente raccontare. Dottoressa, sfatiamo il primo mito.

Ma è vero che la frittura fa male?

Fa male quando non è fatta bene. Se realizzata in modo corretto, nonostante lo shock termico subito dall’alimento sulla parte superficiale, ha la capacità di preservare al massimo i nutrienti interni provocando un’alterazione minore rispetto alle altre modalità di cottura.

Com’è fatto un buon fritto?

Per riconoscere un buon fritto bisogna vedere l’interno, che deve presentare ancora una traccia di umidità, perché la quota lipidica non deve penetrare all’interno, se non in quantità minime. In ogni caso per ottenere un buon fritto bisogna usare olio extravergine di oliva e fare attenzione che la temperatura sia elevata, ma sempre al di sotto del punto di fumo (che è intorno ai 180°).

Perché l’olio di oliva?

Normalmente i grassi subiscono dei fenomeni naturali di ossidazione, che con temperature elevate e presenza di ossigeno atmosferico sono accelerate. L’intensità del processo ossidativo viene contrastata dalla presenza di sostanze antiossidanti, di cui l’olio extravergine di oliva è ricco. Queste sostanze antiossidanti, oltre ad avere effetti benefici, spiegano la stabilità dell’olio d’oliva e la resistenza al calore, cioè alla cottura in generale e in modo specifico alla frittura.

Si può dire che il fritto fa dimagrire?

Sì: l’azione dimagrante del fritto si realizza grazie allo stimolo che esercita sulla funzione epatica e colecistica, con rilascio della bile nell’intestino. La bile contiene sali biliari, indispensabili per corretto funzionamento dei processi di digestione e assimilazione. In assenza di una buona funzionalità biliare si riduce la velocità di transito intestinale e sarà più difficile dimagrire, perché si verifica un rallentamento metabolico. Inoltre il fritto riduce l’aumento della glicemia nel sangue, e quindi la liberazione dell’insulina.

In quali casi è consigliato?

Sicuramente nei casi in cui sia necessario effettuare uno stimolo del metabolismo, ma anche per rendere più appetibile un alimento, soprattutto per i bambini.

 

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