Viaggio a Nord Est tra arte e paesaggio

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Vengo spesso da queste parti da quando mia figlia vive e lavora nel nordest. E sempre il nostro incontro se ne trascina appresso altri molto speciali, con l’arte la cultura e il paesaggio di questa parte di Belpaese dove sembrano concentrarsi come per attrazione magnetica. La pioggia caduta per tutto il ponte di maggio ha determinato il pieno alle mostre, ai musei e nella miriade di dimore di pregio della zona. Poi, come spesso accade, girare aiuterà a capire altre cose relative al contesto antropizzato nel quale ci muoviamo: osservazioni en passant utili a comprendere come mai qui – in un’area un tempo tra le più povere del Paese – sia nato ed abbia messo radici uno spirito imprenditoriale diffuso, che nel giro di mezzo secolo ha contagiato l’intera società civile. E dunque anche l’arte e la cultura che essa è in grado di esprimere. Il primo incontro interessante avviene proprio a Salerno, prenotando on line i biglietti per la mostra “ verso Monet” (storia del paesaggio dal Seicento al Novecento) allestita da “Linea d’Ombra” che ormai in tutto il Nord è sinonimo di Marco Goldin, il trevigiano critico d’arte, saggista e docente universitario che l’ha fondata nel 1996. E che da allora di mostre ne ha allestite centinaia, registrando sempre presenze da Guinness dei primati: 8 milioni di visitatori in 16 anni di attività a 360 gradi. Dalla progettazione alla conclusione, passando per la cura scientifica dei testi, il trasporto delle opere, la loro assicurazione, la stampa del catalogo, la pubblicità. Ottomila opere ricevute in prestito da oltre 1.000 musei, istituzioni e collezioni private di tutto il mondo. Memorabili (oltre quella che si svolge in contemporanea al Palazzo Fava di Bologna, dove Goldin è riuscito a far approdare dall'Aja, dal Mauritshuis (in restauro) il capolavoro di Vermeer “la ragazza dall’orecchino di perla”, già 270 mila presenze), quella di Brescia (2008) intitolata “America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo” e quella di Genova (2012) dal titolo “Van Gogh e il viaggio di Gauguin”, che presentava in catalogo il capolavoro del Maestro francese “chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?”. La mostra di Vicenza sul paesaggio è cominciata solo due settimane dopo la chiusura dell’edizione tenuta a Verona (distante appena 30 Km.) nel Palazzo della Gran Guardia. In totale 363 mila visitatori: 211mila a Verona in 106 giorni di esposizione e 150 mila a Vicenza in 72 giorni (fonte: e-mail del curatore). Il grande successo di pubblico è dovuto all’alto gradimento del tema proposto (il paesaggio) svolto attraverso 6 dense Sezioni (Il falso e il vero della natura. L’età della veduta. Il silenzio e il colore della luna. La quercia e il rumore del mare. Impressionismo e paesaggio. Monet, paesaggio e anima: ancora su vero e falso della natura) e all’appeal del catalogo delle opere (ben 114, talvolta visibili in Italia per la prima volta, provenienti da musei sparsi nel mondo, e in particolare dalla dotazione del Museum of Fine Arts di Boston). Firme che vanno da Carracci, Lorrain, Poussin, van Riijn Rembrandt, van Ruisdael, Bellotto, Giovanni Antonio Canal (il cui capolavoro assoluto, il “Bacino di San Marco”, attira capannelli di visitatori). E poi Guardi, l’olandese van Wittel (sua l’applicazione alla pittura – forse già a partire dalla famosa “Veduta di Piazza del Popolo a Roma” - di nuove conoscenze scientifiche nel campo della prospettiva e dell’ottica, come l’utilizzo della camera oscura che influenzerà la scuola paesaggistica olandese del XVII secolo, oltre che lo stesso Canaletto a partire dal 1719). E ancora Friedrich, Turner, Constable (sua la famosa frase “non vediamo niente veramente finché non lo capiamo”, regola d’oro da osservare davanti a un quadro), gli artisti della Scuola di Barbizon (Corot, Courbet, Millet, Lotz, von Wright, Heade, Church, Kensett). Per finire ai grandi interpreti dell’impressionismo: dal Van Gogh di “Sottobosco” (con l’imperdibile luce filtrata attraverso il folto fogliame degli alberi), a Pissarro, a Sisley, a Boudin, a Gauguin, a  Manet, Renoir (col tripudio di colori della “Senna a Chatou”, anch’esso proveniente dal Museum of Fine Arts di Boston). Per chiudere con il celebratissimo Monet (presente con 24 tele, nessuna di provenienza francese): dal “Sentiero lastricato di Chailly” (1865), a “Spiaggia a Trouville” (1870),“Sentiero riparato”(1873), “Vétheuil” (1879), “Campo di papaveri”(1881), “La casetta del pescatore sugli scogli, Varengeville”(1882), “Campo di papaveri vicino a Giverny” (1885). E ancora, “Antibes vista dal Plateau Notre-Dame” (1888), “Valle della Petite Creuse” (1889). E last but not least, sopra una stessa parete 4 delle 48 "Ninfee” dipinte tra il 1903 e il 1908 nel giardino di casa "Le Pressoir" nell'Alta Normandia. Se i numeri forniti da Marco Goldin sono esatti (e allo stato non si ha motivo di dubitarne), la mostra sul Paesaggio dal Seicento al Novecento ha ricevuto notevole successo. E questo certo farà piacere agli sponsor. Tanto più ove si consideri che – a prendere sul serio l’allarme lanciato tempo fa da Galli della Loggia – “il paesaggio” da Nord a Sud del Belpaese avrà pure buona letteratura, ma sul piano pratico (quello che fa danni) non è preso solo “ a schiaffi” ma è impunemente “violentato”. Solo se i cittadini riprenderanno ad amarlo e a rispettarlo secondo la lezione trasmessa dai grandi letterati e artisti che nella letteratura e nella pittura lo celebrarono ed esaltarono, il Paese che fu culla di impareggiabile storia, arte, cultura e paesaggio, potrà avere ancora un futuro Qui dal Nordest , guardando alla cura e all’attenzione riservate al patrimonio culturale e paesaggistico di contrade, borghi e città, arrivano confortanti segnali che il messaggio è stato recepito. E’ il Sud piuttosto che preoccupa. Anche perché lì c’è davvero poco altro oltre i beni culturali e il paesaggio.