Una donna in Comune

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Come andranno le elezioni comunali del prossimo anno? Nessuno può saperlo anche se in molti già lo immaginano. Ci sarà il solito gioco del toto-nome, ma alla fine i candidati sindaci arriveranno da una ristretta cerchia di personaggi già ampiamente noti. Solo il Movimento 5 stelle resta un’incognita, il che potrebbe essere un bene. Non rimarrà, allora, che tifare malinconicamente per l’uno o per l’altro o forse per il terzo incomodo. Ammirevoli saranno quelli che reclameranno il diritto di scegliere in base al programma e altrettanto ammirevoli saranno quelli che voteranno per ossequio ad una clientela ricevuta: entrambe le categorie sono il sale della politica. Sfortunati saranno coloro i quali dovranno cedere il voto per fare un piacere ad un amico o al solito parente che spera di fare bella figura, guadagnandosi la fama di galoppino elettorale, e chiedere senza imbarazzo. Propongo, quindi, ai salernitani di dare spazio alla fantasia rinunciando allo loro sempiterna quiete di gregge disciplinato. Invece di inseguire i soliti noti, rovesciamo il banco e partiamo dalla fine. Non cercate di capire chi vincerà, in fondo lo sapete, ma tentate di tracciare nella vostra mente l’identikit del sindaco ideale. Lo so, lo so, una larga maggioranza risponderebbe a questa mia proposta dicendo che non può esistere un sindaco di tal fatta perché è già impegnato a Napoli. Ma ho la testa dura e quindi insisto rivolgendomi anche alla minoranza contraria, agli indecisi e ai pochi sognatori. Per dimostrare che faccio sul serio delineo il mio profilo ideale, nella speranza che qualcuno mi segua.

Prima di tutto non vorrei un primo cittadino ma una prima cittadina. Una donna tra i trentacinque e i cinquanta anni con una visione strategica adeguata alla sfida dei tempi. Non immagino una teorica senza esperienza, ma una persona concreta che abbia la capacità di programmare e gestire la macchina comunale e che sappia parlare correntemente almeno una delle due lingue ufficiali dell’Unione europea. Una donna che abbia una sua professione autonoma: deve vivere del suo lavoro per non essere costretta a trasformare l’impegno politico in un mestiere.
Una madre, come tutte le altre, che la mattina accompagni i figli a scuola, a piedi o con la sua auto, prima di raggiungere il comune. Una moglie che bada alla famiglia e allo stesso tempo guida la giunta municipale con uno staff di collaboratori scelti tra i tanti giovani talentuosi della città. Una sindaca che sappia guardare alla città con occhi nuovi valorizzando ciò che di buono è stato fatto e cancellando gli errori senza farli pesare né ai cittadini, né ai predecessori. Un’amministratrice che abbia cura di Salerno come della sua casa: pulita, in ordine, accogliente, moderna e con un balcone sempre aperto sul panorama del golfo. Una casa è bella quando è funzionale nel quotidiano, quando ci si occupa della manutenzione della caldaia, degli impianti idrici ed elettrici, delle tubature del gas, della linea telefonica (con un modem sempre connesso), dell’arredo, del pavimento e persino delle suppellettili. Ogni tanto è giusto ristrutturare, buttare giù qualche muro o cambiare disposizione agli ambienti, ma entro un certo limite. A nessuno piacerebbe vivere in una fabbrica eterna tra rumori molesti e calcinacci ammucchiati. Una signora brillante e colta che sappia parlare alla gente senza usare luoghi comuni e falsi populismi ma con la seduzione di chi sa spiegare e farsi comprendere anche se l’argomento da trattare è indigesto. Una donna che non abbia la smania del consenso a tutti i costi e che da buona amica sia in grado di suggerire la strada migliore per evitare sprechi e consigliare risparmi. Una figura integerrima ma mite secondo la descrizione resa da Norberto Bobbio ne “L’elogio delle mitezza”: «le persone miti… sono quelle che rendono più abitabile questa “aiuola”, tanto da farmi pensare che la città ideale non sia quella fantasticata e descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica universale». La mitezza è un antidoto al progressivo imbarbarimento dei costumi e alla crescita dell’intolleranza a Salerno come in Italia. Tanto altro ci sarebbe da scrivere ma la notte sta calando e la realtà avanza.