Un popolo di evasori, spacciatori e puttane

istat pil

L’economia non è questione per beceri moralisti. Davanti al potere dei numeri, dietro cui si cela la sopravvivenza di uno Stato, non c’è etica che tenga. Basta un ritocchino alle statistiche e tutto s’aggiusta (anche la matematica ha un cuore, o meglio un padrone a cui rispondere). Secondo le nuove direttive del Sec 2010, che definisce i principi e i metodi di contabilità nazionale a livello europeo, il Pil italiano nel 2011 ha guadagnato lo “stupefacente” risultato del +3,7%, ovvero una crescita di 59 miliardi di euro. Non solo. Applicando i nuovi criteri, il settore industriale, che sembrava alla canna del gas, cresce del 13%. Ma come in tutte le belle favole all’italiana c’è un però: l’incremento è determinato dal rilevamento dell'economia non osservata e, in particolare, della componente connessa con la sotto dichiarazione dell'attività economica da parte delle imprese che, in parole povere, significa inserire i dati dell’evasione fiscale, del traffico di droga, della prostituzione, del contrabbando di sigarette e dell’alcool tra i valori contabili. Una figata! Nel paese della mafie e degli evasori fiscali si tratta di un’occasione unica per far valere, a danno dei competitori europei, le peculiari caratteristiche nazionali. I dirigenti dell’Istat, rispettando la loro mission istituzionale, tengono a precisare che si tratta del computo di “attività illegali” e non criminali. La qual cosa mi tranquillizza non poco visto che ho sempre ritenuto trafficanti, spacciatori, magnaccia, contrabbandieri e truffatori finanziari dei delinquenti da arrestare. Sapere che le loro “gesta eroiche” hanno difeso l’economia nazionale e che anzi l’hanno spinta più avanti della Francia (+3,2%) e della Germania (+3,4%) mi rende orgoglioso anzichenò. Senza il contributo dei nostri amici, il cui peso sulla crescita del Pil incide del 12,4% per un totale di 201 miliardi di euro (di cui 15,5 determinati da “attività illegali” e ben 187 dall’evasione fiscale e contributiva), saremmo una potenza industriale in declino, senza via d’uscita.

Così stimando il numero di dose assunte dai tossicodipendenti, osservando il volume dell’offerta di sesso a pagamento (consumo di preservativi, quantità di abiti da lavoro indossati dalle prostitute e numero di luoghi adibiti al ricevimento dei clienti) possiamo continuare a dire di essere benestanti. Come ha scritto Tito Boeri su “la Repubblica”: “Oltre al danno di pagare le tasse anche per chi conduce attività illegali o opera nel sommerso, dobbiamo subire la beffa di vederci certificare una pressione fiscale più bassa di quel che è”. Alla luce delle nuove statistiche i magistrati salernitani che hanno fatto apporre i sigilli ad un noto albergo del centro cittadino sono dei veri e propri boicottatori della ricchezza nazionale. Ma come gli è venuto in mente di chiudere una “fabbrica” in cui industriose operaie, grazie al flusso costante di materia prima, si adoperavano a produrre una quota importante del reddito pro capite? L’Unione europea, invece, è molto più avanzata e non ha le pruderie morali dei togati. L’assunto amorale relega in soffitta il pensiero di Stuart Mill: nell’era postfordista le criminalità non ridistribuiscono più la ricchezza esistente trasferendola dall’ambito legale a quello illegale, accumulando rendite con un ruolo puramente parassitario, al contrario partecipano all’economia globale immettendo nel mercato beni produttivi paralleli, che generano surplus di capitali da reinvestire – attraverso il riciclaggio – in attività legali, e contribuendo, in maniera sperequata, alla ricchezza nazionale. Basta osservare l’andamento del narcotraffico per comprendere quanto le teorie classiche siano stravolte: intorno alle coltivazioni e alle miscele sintetiche (ovvero da produzioni agricole e industriali) si organizza una catena commerciale che centuplica il valore iniziale del bene. Dunque, le attività illegali aggiungono ricchezza e la distribuiscono e non sono, come affermava Mill, antieconomiche. Un gran numero di persone vivono operando nell’economia criminale. Se così non fosse non potremmo spiegare il ruolo assunto dalle mafie nella globalizzazione, né il fatto che in alcuni stati una quota consistente del Pil dipenda, in buona parte, dalla criminalità. Aveva ragione De Gregori quando cantava: “Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila”.