Un inquietante sfondo politico

Omicidio Fratte

Fratte un tempo era una frazione esterna alla città. Grazie alle Manifatture Cotoniere Meridionali è stata la prima zona industriale del Mezzogiorno. Qui si svilupparono importanti movimenti di lotta sindacale condotti dal mitico segretario della Camera del Lavoro Nicola Fiore. Era il polo operaio salernitano, lontano dal centro borghese e conservatore, che premiava, elezione dopo elezione, le liste della sinistra. Il quartiere, da sempre, è la piazza urbana di riferimento delle frazioni collinari più vicine: Cappelle, Pastorano, Casa Roma, Sordina, Matierno, Rufoli e Ogliara; villaggi di pastori disposti a corona intorno al monte Stella dove pascolavano mandrie di vacche e greggi di pecore. Il processo di capillare urbanizzazione della seconda metà del Novecento li ha trasformati in quartieri periferici dove sono stati costruiti parchi privati per borghesi benestanti, cooperative edilizie per operai e impiegati e rioni di case popolari per i senza reddito. In questi ultimi l’addensamento del disagio sociale si è coagulato in fattore criminogeno che ha alimentato la formazione di un organizzazione criminale urbana tradizionalmente definita camorra. Le famiglie che detengono il controllo delle colline e della prospiciente Fratte sono i Villani, i Vaccaro e gli Ardoino che, per tutti gli anni Novanta, hanno gestito lo spaccio di stupefacenti in combutta con i Panella e i D’Agostino, ai quali spettava il dominio sul centro e la parte orientale della città. Caduti disgrazia questi ultimi, gli uomini delle colline sono rimasti i soli camorristi che possono vantare un insediamento trentennale. Si sentono, quindi, uomini di rispetto con i quali bisogna scendere a patti se si vuole entrare nel loro territorio. Questo è il nodo della vicenda da cui è scaturito il duplice omicidio di Fratte.

Antonio Procida e Angelo Rinaldi si sono permessi di non osservare le regole del gioco. Procida si è scontrato apertamente il capo clan Vaccaro che ha reclamato il controllo sull’attacchinaggio. Procida, che non era uno stinco di santo, non hanno esitato a controbattere senza mezzi termini gli avversari creando un dissidio sanabile solo per mezzo della vendetta: chi sgarra paga. Un affronto del genere avrebbe potuto essere risolto con violenta aggressione fisica o con una gambizzazione esemplare. Perché si è scelta la strada dell’omicidio? Un eccesso di violenza tipico delle nuove leve criminali? Oppure l’omicidio è frutto di una scelta consapevole che arriva dopo una serie crescente di conflitti non riparati? È possibile che Procida e Rinaldi stessero cercando di proporsi come soggetti autonomi sul territorio e che la questione dei manifesti sia stata solo un pretesto per eliminare il problema alla radice? Il duplice omicidio potrebbe essere un modo per comunicare a quanti vogliono competere nel mercato criminale che chi si mette fuori dal sistema relazionale del clan rischia la vita. Rimane, tuttavia, inquietante lo sfondo politico della vicenda. Se è vero che tutti i candidati devono pagare i camorristi per affiggere i manifesti nel loro territorio significa che sono pronti e disponibili ad accettare qualsiasi tipo di compromesso pur di ottenere un risultato elettorale. Ma non basta. Significa che si crea un contatto con quel mondo dal quale si spera di ottenere un servizio grazie al quale viene garantita, con una turnazione decisa dal clan, una visibilità per un certo numero di ore o di giorni senza la noia di essere coperti da altre squadre: più si paga più la tua faccia rimane appesa al muro. È un’estorsione in piena regola. Quale fiducia possono ispirare dei candidati ad una carica istituzionale che, ancora prima di essere eletti, accettano il racket dei manifesti? Scommettiamo che alcuni di questi, se eletti, dichiareranno di essere contro il pizzo e la camorra? A pensarci bene più che di estorsione bisognerebbe parlare di collusione generalizzata: non mi risulta che nessuno abbia denunciato alle forze di polizia questo andazzo e se non ci fosse stato il duplice omicidio tutto sarebbe filato liscio come l’olio. Ciò significa che i candidati e i loro partiti (perché non possono fingere di non sapere) considerano questa pratica del tutto normale. Mi sovviene allora una frase di Libero Grassi: “La formazione del consenso è la prima arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia… è il voto… ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia… la legge la fanno i politici… se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi”.