Turgot. L'uomo ha un solo interesse: il proprio

Non è che si può spiegare tutto con la fine delle ideologie – che finite non lo sono affatto – o con le leggi del mercato – comodo paravento per padroni e despoti sovente ottusi. E’ che spesso proprio coloro che dovrebbero avere giovamento da una rivoluzione, da un cambiamento, dal ridisegno drastico di vite e gerarchie, sono quelli che vi si oppongono. Perché di frequente una scelta che va a favore dell’uomo, trova nel “legno storto dell’uomo” stesso il principale ostacolo.Prendete l’esempio di Jacques Turgot, economista e filosofo francese nato e morto (ad appena 54 anni) a Parigi. Oltre che per numerosi testi di svariati argomenti e per essersi interessato di materie diversissime tra loro, è famoso per aver dato vita a uno dei più grandi e articolati tentativi di riforma fiscale della storia: accadde su incarico di Luigi XVI che gli affidò il controllo delle finanze nella Francia del Settecento. Ebbene, lui che pure era stato assistente di de Gournay – uno dei padri del liberismo economico e autore del celebre motto “laisser faire, laisser passer”, lasciar fare, lasciar passare -  eletto nel 1761 intendente delle finanze di Limoges,  una delle zone più colpite dalle tasse e tra le più povere di tutta la Francia, come prima iniziativa cercò di equilibrare la tassazione rendendola più equa attraverso una riduzione fiscale; poi propose di sostituire la precedente tassa proporzionale con una tassa distributiva; infine eliminò l'istituto della corvée (prestazioni di lavoro obbligatorio e gratuito che la nobiltà fondiaria continuava a esigere dai contadini) con una tassa in moneta i cui ricavi vennero utilizzati per la costruzione e la manutenzione delle strade.

A Limoges non andò tanto male, per un po’ le sue riforme funzionarono e lui fu promosso nel 1774 responsabile generale delle finanze francesi. Turgot allora pensò bene, per risanare l'economia dello stato, di puntare più sullo sviluppo dell’economia che sull’inasprimento fiscale ed infatti il suo programma prevedeva la riduzione delle spese di corte; la libera circolazione del grano per rilanciare l'agricoltura; l’inserimento di un'imposta fondiaria a carico di tutti i proprietari in sostituzione delle corvée; l’abolizione delle corporazioni.  Passarono appena due anni e il filosofo fu destituito. Dalla sua parte c’erano solo gli illuministi. Chi gli remò contro? A parte la nobiltà di corte, i proprietari terrieri, i finanzieri e i magnati delle corporazioni  - e questo può essere comprensibile – anche i contadini, che contro di lui fecero addirittura scoppiare la cosiddetta guerra delle farine. Erano stufi della servitù, certo, ma quando comparve uno che da quella servitù voleva liberarli, lo cacciarono via quasi a pedate.

Torniamo così al “legno storto”. L’uomo evidentemente non è fatto per la socialità, per il collettivo, per l’interesse generale. L’uomo persegue e difende strenuamente il proprio esclusivo interesse individuale, spesso anche a danno della propria stessa famiglia, e si accontenta di riempire la pancia e svuotare lo scroto.

A Turgot il pensiero riverente di una piccola parte di umanità che lo appoggiò allora e non lo sbeffeggia adesso, nella speranza che arrivi davvero un mondo nuovo. Per lui l’ultimo omaggio può essere quello di ricordare che, educato per entrare nella carriera ecclesiastica, dopo qualche anno di studio decise di non prendere la tonaca e ricevere gli ordini: “Non posso indossare una maschera per il resto della mia vita”, disse a un mondo evidentemente già sordo all’epoca.