STOP FONDERIE DOLOROSO MA NECESSARIO

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Progetto Cerone sull'area della fonderia Pisano

Progetto Cerone sull'area della fonderia Pisano

Il  ventaglio delle ipotesi di reato per le quali la Procura di Salerno sta indagando cinque esponenti della Fonderia Pisano e due tecnici - entrati a titolo diverso nel rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale - è talmente articolato da lasciar supporre che difficilmente il sequestro preventivo dell’impianto – che da quelle ipotesi discende – possa essere impugnato davanti al Tribunale del Riesame. La patata bollente dunque sta passando velocemente nella mani della politica che – in buona compagnia con l’Autorità sanitaria sul territorio - finora se ne è tenuta, forse colpevolmente, alla larga. La magistratura avrebbe in mano prove per le quali quella fabbrica lì non può ulteriormente operare. Anzi, visto che viene messa in discussione la “legittimità, la  liceità e l’efficacia” dell’Aia rilasciata dalla Regione nel 2012, non avrebbe potuto farlo neppure prima. E non può operare perché la condizione tecnologica della sua vetusta struttura industriale è tale da non potersi escludere la reiterazione di gravi reati ambientali. Che vanno dallo scarico di acque reflue inquinanti alla gestione illecita di rifiuti speciali anche pericolosi, dalle emissioni nocive in atmosfera al danneggiamento di beni pubblici, dal gettito di cose idonee a molestare le persone alla violazione della normativa antincendio e della sicurezza dei luoghi di lavoro, dall'abuso d’ufficio alla falsità materiale ed ideologica in atti pubblici. In attesa che si pronunci la scienza in merito all’interferenza tra contaminanti ambientali locali e i molti decessi per cancro avvenuti nell’area attorno alla fabbrica, gli inquirenti si sono limitati ad identificare come danno ai residenti il “getto di cose idonee a molestare le persone", punito dall’art.674 c.p. Ancora una volta ci ha pensato la magistratura a togliere le castagne dal fuoco alla politica. Che però ora non può più giocare al rinvio. La faccenda non è affatto semplice. In gioco ci sono diversi e non convergenti interessi tutti in qualche modo meritevoli di tutela. Seppure con un diverso ordine di priorità. C’è prima di tutto l’interesse primario dei residenti alla tutela della salute e della qualità della vita. Perché anche ammesso per eccesso di scrupolo che i numerosi casi di decessi per tumore registrati nell’area non fossero  dalla scienza ascrivibili direttamente ai fumi della fonderia, nessuna persona di buon senso potrebbe sostenere che i residenti a Fratte (ma non solo) siano condannati a vivere in un contesto ambientale pesante che influenza anche la loro vita di relazione. C’è poi l’interesse dei 150 dipendenti della fonderia e le loro famiglie, che chiedono di conservare il posto di lavoro e il reddito necessario al loro sostegno. E c’è infine l’interesse della proprietà, alla quale si possono muovere molti addebiti (a cominciare dal mancato adeguamento tecnologico che stando ai rilievi peritali sarebbe alla base delle ipotesi di reato formulate), ma alla quale bisogna riconoscere il diritto di poter continuare a produrre da qualche altra parte, anche per mantenere in piedi la forza-lavoro fin qui occupata. Ma proprio alla proprietà – che da tempo ha messo in rete un progetto di rigenerazione urbana dell’area sulla quale insiste lo stabilimento, area alla quale il Puc attribuisce una premialità negli indici di edificabilità quale incentivo alla delocalizzazione – bisognerà far capire che quel sito in ogni caso dovrà prima essere bonificato. E che potrebbe trattarsi di un costo troppo alto per la collettività. Questo in estrema sintesi il groviglio di problemi che Governo, Regione, Comune, sindacati e proprietà si troveranno davanti quando la prossima settimana siederanno al tavolo convocato al MEF. Non ci sarà per propria scelta il Comitato Salute e Vita. Ma indietro ormai sarebbe rischioso tornare.