Sono luci di artisti o di artigiani?

Torino

Torino ha cominciato a illuminare d’arte nel natale 1997. Nomi del calibro di Giulio Paolini, Mario Merz, Mario Airò, Daniel Burel, Rebecca Horn (divenuta famosa in Campania per l’istallazione dei teschi a piazza Plebiscito) e, quest’anno, le giovani promesse Valerio Berruti e Martino Gamper hanno progettato e realizzato pezzi unici che hanno trasformato il capoluogo piemontese in un museo contemporaneo a cielo aperto. Alcune di queste opere sono state prestate (affittate?) per le prime edizioni delle nostrane luci d’artista sulle quali è stato costruito il brand salernitano (in realtà si tratta dell’imitazione di un’iniziativa realizzata con successo da un altro comune). Col passare degli anni, per dimostrare che Salerno può produrre in autonomia istallazioni luminose senza bisogno di aiuto esterno - dopo averne copiato l’idea concettuale e la denominazione -, si è pensato di affidarsi ad artisti locali. A loro si dovrebbe la progettazione del “Giardino incantato” che ha attirato nello scorso fine settimana 15mila turisti. Salerno, grazie a questa intuizione, è entrata nei circuiti turistici natalizi. In villa comunale, folle festanti si immergono nel clima fantastico della fiaba, scattando foto sotto il mantello d’oro e d’argento delle gallerie luminose. Un’atmosfera di magia avvolge genitori e figli sotto lo sguardo di folletti, fate, stregoni e animali magici in una vegetazione luminescente e lussuriosa. Poi, passeggiando verso il corso, camminano a testa in su ammirando tappeti, rampicanti, pianeti, stelle, costellazioni, come se fossero nel bel mezzo della via lattea. Sostano, infine, a piazza Sant’Agostino lasciandosi catturare dall’ambientazione in stile capodanno cinese.

Proprio di fronte agli occhi del dragone, ho cominciato a pensare al rovescio. Ma siamo proprio sicuri che le nostre siano luci d’artista? Perché ogni anno il protagonista è il sindaco e non gli autori delle opere d’arte? Sarebbe interessante conoscere l’idea motrice della loro ispirazione. Continuando a ragionare per assurdo ho ipotizzato che dietro le composizioni luminose non ci fossero degli artisti ma sapienti artigiani napoletani. Antichi maestri che hanno modificato, su commissione dell’amministrazione, vecchie luminarie in foggia contemporanea. Gli apparitori di feste patronali di colpo sono diventati artisti. Se così fosse sarebbe naturale immaginare che il target di riferimento siano i “paesani” a cui piacciono gli addobbi luminosi. Fino a che punto questo mia assurda riflessione può essere reale? Mi sono piazzato davanti al teatro Verdi per vedere gli autobus di “turisti” che rientravano. Ne ho contati una trentina leggendo la provenienza delle ditte di trasporto. I nomi erano: Acerra, S. Marcellino, Caivano, Giugliano, Afragola, Nola, Saviano e così via. Ma questi non sono i paesi dell’hinterland che per anni sono stati etichettati, da orgogliosi salernitani, come luoghi malfamati abitati da delinquenti e cafoni? Non era stato emanato un editto che li tenesse lontani dalla hippocratica civitas? Le luci d’artista, in fondo, appartengono alle cosiddette politiche simboliche. Un’operazione di marketing territoriale, così come fu la liberazione di piazza Plebiscito a Napoli. Non si può affermare, però, che abbiano una ricaduta economica reale. Le comitive che arrivano in città consumano poco prediligendo bar e rosticcerie, lasciando a secco gli altri esercizi commerciali. Quando entrano nei negozi del corso curiosano senza acquistare. Gli incassi, mi hanno confermato alcuni commercianti di lunga esperienza, sono e rimangono un terzo rispetto a quelli dello scorso anno. Possiamo fare a meno delle luci d’artista? Conoscendo i salernitani direi di no. Gli stessi che si lamentano dell’invasione “straniera” sarebbero i primi a bofonchiare in caso qualcuno volesse eliminarle. Come spesso accade l’invenzione di una tradizione si radica in breve tempo nel tessuto popolare grazie alla potenza di un mito, quasi sempre falso.