Silvia Minguzzi e l'intelligenza emotiva. 'Vi aiuto ad essere più felici'

in-aula-2010A tu per tu con la coach Silvia Minguzzi, co-fondatrice dell’Accademia dell’Intelligenza Emotiva, master trainer AIE, docente di master di secondo livello al Poli Design di Milano, giornalista e direttore responsabile di due testate, scrittrice. Silvia insegna tecniche, conoscenze e strumenti di crescita personale e professionale per il miglioramento psico-fisico della qualità della vita attraverso la formazione. Solare, spontanea, dolce ma determinata, stabilisce immediatamente un rapporto empatico con chi l'ascolta. Da 15 anni si dedica al coaching per manager, campioni sportivi, personaggi dello spettacolo, network e altre realtà.
Come nasce l’Accademia dell’Intelligenza Emotiva e qual è la sua mission?
“La mission è aiutare le persone a scoprire e a realizzare sé stesse, ad elevare la ricchezza e la qualità della vita con amore, divertimento e passione. Il progetto dell'Accademia è nato nel 2004 a Cervia e si è sviluppato gradualmente. Con il collega Andrea Magnani già collaboravamo al progetto ‘La città del sole’ facendo corsi di formazione. Poi abbiamo cominciato a interessarci all’intelligenza emotiva con studi di approfondimento e di ricerca sull’argomento e dapprima ci siamo dedicati alla formazione nelle aziende. Più recentemente l’Accademia si è costituita come associazione di promozione sociale che organizza attività rivolte a un pubblico eterogeneo – genitori, famiglie e bambini con serate gratuite e corsi monografici - con l’intento di diffondere i processi e gli strumenti dell’intelligenza emotiva per aiutare le persone a migliorare la qualità della loro vita e stabilire un rapporto armonico con se stessi e con gli altri. Ora Magnani si dedica al progetto solo come docente e siamo io e il mio compagno Giovanni Nigris a portarlo avanti insieme ad altri collaboratori”.
Quali sono le iniziative più seguite?
“Sono molto apprezzati i mini corsi a ingresso libero che dividiamo in 5 serate, quante sono le aree dell’intelligenza emotiva: riconoscere le emozioni, gestire le emozioni, motivare se stessi e motivare gli altri, costruire e mantenere relazioni di qualità e l’area della gestione dei conflitti, attività sociali e leadership”.
Di cosa si occupa l’intelligenza emotiva?
“Di mettere d’accordo la parte logica con la parte irrazionale, dell’armonizzazione dell’area delle emozioni, dell’inconscio, di tutto ciò che non è governabile razionalmente con gli ambiti della logica, della razionalità, la parte intellettuale. Tutte le volte che una persona si trova a vivere una situazione o un comportamento che non vorrebbe vivere o al contrario vorrebbe incrementare ma non riesce a farlo, ha delle difficoltà sul piano l’intelligenza emotiva. Si verifica uno scontro tra parte logica ed emozionale. Un esempio: il fumo. Tutti sanno che fumare è dannoso e se si riuscisse ad essere solo logici nessuno fumerebbe. Ma non è così. Altro esempio: l’abitudine di alzare la voce quando si discute. L’intenzione è buona, cioè quella di essere più convincenti, ma dall’altra parte la voce alta è percepita negativamente, come un attacco, e non si ottiene il risultato che si desidera. Solo con la logica si smetterebbe di urlare, ma la parte emozionale impedisce di controllarsi. La potenza della nostra parte emozionale nel fare delle scelte e nel reagire alle situazioni ha un peso superiore al 90% rispetto al 10% della parte logica. Il conflitto tra emozioni e ragione fa innescare una serie di meccanismi interiori che sono involontariamente sabotanti. Il meccanismo più comune quando una persona vive una difficoltà nella vita non è di cercare dentro di sé le responsabilità del disagio, ma piuttosto di cercare qualcosa di esterno a cui dare la colpa: lo stress, il tempo atmosferico. In realtà, le cose che succedono all’esterno suscitano emozioni buone o cattive a secondo di come la persona li interpreta, in base a condizionamenti che la persona ha acquisito a cominciare dai primi anni della sua vita, senza esserne consapevole. Il lavoro dell’intelligenza emotiva è anche un viaggio interiore in cui la persona riprende conoscenza di tutta una serie di convinzioni che ha accumulato nell’arco della sua esistenza che oggi la fanno reagire in determinati modi di fronte a certi stimoli esterni”.
Sembra molto simile all’obiettivo della psicoterapia…
“Ci tengo a precisare che il lavoro che facciamo in Accademia non è curativo per persone che hanno patologie. Le persone che vengono da noi sono sane, ma vogliono migliorare la qualità della loro vita, la capacità di gestire le relazioni, le emozioni. Molti hanno obiettivi specifici: applicare queste conoscenze con i figli o i genitori, con il partner, nell’ambito lavorativo”.
Come si può gestire la rabbia?
“Di solito, quando una persona è arrabbiata non riesce ad ottenere i risultati che vorrebbe. Piuttosto fa delle azioni che spesso tendono ad allargare il danno. La rabbia non è un’emozione negativa. Tutte le emozioni secondo l’intelligenza emotiva sono positive. Hanno la funzione nobile di portare un messaggio. Quando le emozioni generano conseguenze negative non è perché l’emozione in sé è negativa, ma perché è stata gestita male. La rabbia nasce nel momento in cui dentro di noi c’è la sensazione che qualche cosa di ingiusto sia successo, cioè che sia stato violato un principio o valore importante e sia stata commessa un’ingiustizia. C’è chi la soffoca, negandola, perché è una rabbia piccola. Ma negarla serve ad accantonare il problema, senza risolverlo. Quando la rabbia è forte è molto più difficile soffocarla. Facendola sfogare l’intenzione è di rimettere ordine, di riportare la giustizia, ma può venire in mente qualche idea non buona, come quella di vendicarsi, creando una catena distruttiva. Ci sono vari passaggi che consigliamo: 1)la persona deve agire sul piano fisico per scaricare almeno in parte la propria energia, ovvero non reagire subito ma prendersi del tempo, fare un bel respiro profondo - per interrompere lo schema di comportamento abituale e aiutare l'organismo a gestire l’emozione - poi isolarsi e saltare sul posto per 1 minuto, così da abbassare l’energia esplosiva e rendere la rabbia mista a determinazione; 2)dopo i salti, porsi le due domande ‘quale principio o valore importante per me sento che sia stato violato?’ e ‘che cosa posso fare io per riconfermare questo principio senza violarne altri?’. In questo stato ci si può organizzare con un piano, per decidere cosa fare in modo più lucido. Questa è solo una parte della gestione della rabbia, che infatti ha necessità di essere sfogata anche verbalmente. Noi abbiamo bisogno di dire cosa ci ha fatto male e come ci sentiamo alla persona interessata. Se ci viene di sfogarci con rabbia, per evitare che le parole possano essere controproducenti alla relazione con l’interlocutore, è preferibile scrivere una lettera con le nostre sensazioni che dopo possiamo anche buttare via. Se ci confrontiamo raccontando le nostre percezioni senza dare la colpa all’altro ma assumendoci la responsabilità del nostro stato, l’altro si predispone all’ascolto ed è possibile negoziare. 3)Il completamento della gestione della propria rabbia è il perdono, a cui si arriva dopo aver visto con gli occhi dell’altro, attraverso il suo universo di esperienze e convinzioni che potrebbero essere limitanti e costituire una gabbia. Per perdonare occorre separare i comportamenti dalle persone, capire che si può fare una cosa tremenda ma avere aspetti positivi. Il momento del perdono fa sentire più leggeri e liberi, dona un senso di benessere. E non si perde niente, perché dall’esperienza si riesce comunque ad imparare come proteggersi in futuro, senza ferite né traumi”.
Silvia, hai scritto tre libri. Ce li racconti?.
“Il primo è un manuale di crescita personale e si chiama ‘Cosa farò da grande’. Nella mia attività di coach mi sono accorta che spesso le persone non hanno ben chiaro cosa vogliono nela vita e per questo motivo capita che non lo ottengano. Rimettersi in contatto con le proprie aspirazioni aiuta molto a migliorare i risultati. Il secondo è un libro sulle dinamiche di relazione, ‘Impara a dire no’ che aiuta le persone che si trovano in situazioni di disagio per la difficoltà di dire ‘no’ quando gli viene chiesto qualcosa, anche implicitamente. Tendono a comportarsi in modi compiacenti mettendo da parte i loro bisogni e le loro esigenze pur di non deludere qualcuno a cui tengono. In questo modo la relazione a poco a poco viene minata da una sensazione di risentimento e di ingiustizia. Quindi, l’intenzione di salvare la relazione si trasforma in un danno e più la persona aspetterà a dire di ‘no’ e più lo farà con rabbia e l’altro non sarà grato per tutto quanto fatto prima. In più, quando si sostiene troppo qualcuno lo si fa disabituare ad essere autosufficiente contribuendo involontariamente a creare una dipendenza e, quando si viene meno, l’altro - sentendosi perso - scarica la colpa su chi dice ‘no’. Il segreto è imparare ad esprimersi senza rabbia, con determinazione e dolcezza insieme, non con una risposta secca. Il terzo libro si chiama ‘Il segreto del bosco delle querce antiche’, una favola che ho scritto con Claudia Lattuga illustrata con fumetti di Sara Benelli per aiutare i bambini a realizzare i propri sogni, a pensare in modo più libero e aperto. Ci sono tante cose che il genitore insegna al figlio per proteggerlo, ma che da grande costituiranno i suoi limiti. Racconto di un bimbo che si perde e poi si ritrova, è una metafora della vita. Il messaggio che cerco di trasmettere è che risulta impossibile scrollarci questi condizionamenti limitanti, ma occorre liberare il pensiero per considerare tutte le possibilità”.
Esiste una ricetta per recuperare la serenità?
“Quando non ci si sente a posto, la prima cosa da fare è raddrizzare le spalle, guardare in alto e sorridere. Tutto sembrerà già diverso. Poi, dopo qualche respiro profondo, occorre farsi domande senza usare il ‘perché’, che portano al vittimismo, alla lamentela e a scaricare la colpa sugli altri, ma con il ‘come’ e con il ‘cosa’ che sono costruttive e ci aiutano ad organizzare un piano, assumendoci la responsabilità di risolvere il problema. Perché nella maggior parte dei casi noi possiamo fare qualcosa, ma siamo concentrati su quello che avrebbero dovuto fare gli altri e sul fatto che noi abbiamo ragione. E questo ci impedisce di essere sereni".