Serata d'amore, Isa e Manlio nella stanza di Ruccello

isaE’  un peccato che la critica teatrale napoletana non abbia compreso il senso di questa “Serata d’amore” di Isa Danieli con la regia di Manlio Santanelli, presentata qualche giorno fa al Nuovo di Napoli e dedicata all’opera di Annibale Ruccello. Ci si è impelagati in questioni filologiche, una Jennifer interpretata da una donna e non da un uomo, come era ai tempi di Ruccello; o una sola attrice interprete di entrambe le figure delle “ Cinque rose di Jennifer”, o che canti “mannaggia ‘e rose” in omaggio a quel titolo, o ancora  l'interpretazione di  tutti i personaggi dei dialoghi di “Ferdinando”. E’ come se ad un autore che da trenta anni viene messo in scena da una miriade di compagnie in una molteplicità di edizioni; di cui si citano o si ricordano o si rovesciano le interpretazioni, dalla famosa Jennifer, appunto, alla protagonista di “Mamme piccole tragedie minimali”, si dovesse rimanere fedeli, fermi alle sue primigenie interpretazioni e soprattutto a Isa Danieli dovesse toccare a  vita il personaggio a suo tempo affidatole di Clotilde. Tutte le altre sono divagazioni non consentite. Certamente Ruccello è diventato un autore di culto, dove ciascuno degli studiosi o critici napoletani, ritiene di esserne il corretto esegeta, ma a distanza di trenta anni un autore è materia di storia del teatro, e nel caso di Ruccello dal così straordinario successo postumo da rendere vana ogni pretesa filologica, perché è come se si chiedesse ad un regista di interpretare Shakespeare come lo faceva la sua compagnia nel ‘600. Né mancano d'altra parte anche riletture del tutto inedite sulla drammaturgia napoletana, un caso per tutti quello di Eduardo, da "A da passà a nuttata" di Leo De Berardinis, al "Natale in casa Cupiello" di alcune recenti e molto audaci revisioni,  come quella di Fausto di Russo Alesi che ne ha interpretato da solo tutti i personaggi e quella di Antonio Latella. Ma anche lo stesso Servillo reinterpreta da capo a piedi Eduardo con le sue inedite regie. Perché mai quindi Ruccello dovrebbe essere più intangibile di Eduardo? La rilettura che ne fanno la coppia Danieli - Santanelli  ha invece il valore di un interessante excursus nel corpo drammaturgico dell’autore di Castellammare dove si parte dall’ultimo testo “Ferdinando” e si arriva a ritroso al primo, passando per alcuni punti fermi, delle vere e proprie “stazioni” dell’universo ruccelliano: l’Adriana di “Mamme” ( e anche in parte di “Notturno di donna con ospiti”); la Ida di “Week end” ed infine Jennifer con il suo “doppio” Anna cui la Danieli dà un tocco ulteriore di inquietudine. Questa carrellata è “cucita” con registrazioni fuori campo che introducono i vari personaggi  e di una generale atmosfera di “polverosa” evocazione che parte dai mobili ricoperti di cellophane e arriva alle vicende e alle trame dei vari testi. Si entra insomma in punta di piedi nella “stanza”  privata di Annibale, un ambiente intimo, “figura” metaforica oltre che fisica,  dove si aprono cassetti e si violano segreti, luoghi nascosti dove si sperimentano e si incrociano personaggi e linguaggi, una “stanza tutta per sè” come quella di Virgina Woolf dove entrano la "sua" attrice e un altro autore di quella stagione felice e nessuno più di loro ha diritto di entrare in quel labirinto di di ninnoli kitsch di Jennifer, di suoni incrociati di telefoni e radio libere,  di rosoli e di giaculatorie, una stanza dove si muore nell’attesa sospesa sul nulla. Se con Clotilde Isa gioca in casa, personaggio letto e riletto in infinite versioni di successo ma anche fardello da caricarsi sulle spalle da vecchio attore girovago che apre sulle piazze la valigia di trucco e parrucco e sfodera il cavallo di battaglia della vecchia signora della villa vesuviana che rinasce risanata dal giovane Ferdinando; è con lo sdoppiamento di Jennifer e Anna che la Danieli tocca davvero le corde più profonde dell'opera di questo grande autore. Jennifer e Anna sono infatti le due facce di una stessa medaglia, quella della solitudine e del dolore, la ricerca di un vagheggiato quanto impossibile amore  che fa di loro una sublime proiezione dell’inconscio femminile e non ha alcun senso richiamarsi  alla versione “in travesti” che ne fece l’autore all’epoca. Ruccello amava non interpretare le donne, ma confondersi, mimetizzarsi con le diverse identità, fino a dar luogo ad una identità inedita e altra. Chi ha visto Ruccello in scena ricorda nitidamente quanto le sue “Mamme” fossero l’incarnazione di un femminino grottesco, impregnato fino al midollo delle favole paurose di un Basile, un materiale simbolico e contaminato dove tutti i personaggi subiscono “in corso d’opera”  profonde mutazioni e deformazioni. Isa diventa così tutte le donne di Ruccello, le deportate, le emarginate, le sofferenti d’amore, le "coricate", le vinte. Uno spettacolo quindi che non è solo un delicato omaggio ad un autore amatissimo ma anche il serio lavoro di un altro importante autore come Santanelli e di una grande, fantastica protagonista di questa drammaturgia di parole e di testi, che non sono mai un nucleo chiuso  e inerte ma materiale da usare e anche distorcere e far vivere al meglio  nel presente. In questo, lo spettacolo è perfettamente riuscito e accolto con grande entusiasmo dal pubblico.