SE MANCA LA COESIONE, SOCIETA' SENZA DEMOS

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Nell’ultimo sondaggio del 26 novembre sul Referendum, un italiano su cinque si trovava nella condizione del Poeta nella notte del 9 aprile del 1300, quando fu lasciato da Virgilio davanti alle mura della città di Dite con il sì e il no che si combattevano nella sua mente. E ne hanno ben ragione. All’apparenza infatti – leggendo l’ambiguo quesito – sembrerebbe trattarsi di una spolverata alla nostra Magna Charta che di anni non ne ha moltissimi. Ma il voto di domenica non ha solo una valenza tecnica, riguardo alla quale non tutti riescono a valutare se i cambiamenti nel funzionamento di questa o quella istituzione pubblica siano in grado di assicurare quel “passo più veloce” promesso. Al di là degli aspetti tecnici, c’è una domanda di fondo che più di tutto il resto accende nella mente dei cittadini la lotta tra il Sì e il No. L’Italia della “Riforma” sarà migliore o peggiore della presente? Aiuterà oppure ostacolerà il processo di “Rinascita” morale e civile che sembra il vero deficit che condiziona – insieme a quello finanziario - il futuro delle nuove generazioni? Domande non da poco. Non è – per esempio - cosa da poco che questa Riforma – forse senza neppure essere troppo compresa – abbia spaccato in due l’Italia, tornata a dividersi tra guelfi e ghibellini. Né sono arrivati segnali di distensione dal Premier che anziché restare neutrale e studiare come calmare le acque si è dato da fare per agitarle ancora di più. Questa Riforma nasce da un’idea di democrazia già deconsolidata, secondo la terminologia di Yascha Mounk docente di Government ad Harvard. Deconsolidata da una prassi essa stessa estranea allo spirito della Costituzione del ’48, come gli incarichi a Presidente del Consiglio prima a Letta e poi a Renzi da parte di Napolitano, senza passare per il voto popolare. Nel secondo caso addirittura a un politico neppure membro del Parlamento. E’ vero che il nostro ordinamento non lo impedisce in presenza di una maggioranza politica accertata. Ma è anche vero che a Renzi l’incarico fu dato un mese dopo che l’Alta Corte si era pronunciata sul Porcellum, dichiarando incostituzionali sia le liste bloccate che il premio di maggioranza senza soglia. Dunque quel Parlamento, che pure la stessa Corte confermò titolato ad approvare una nuova legge elettorale, probabilmente non era – dal punto di vista politico - legittimato ad occuparsi di riscrivere larga parte della Costituzione, visto che proprio la formazione della sua maggioranza aveva subito una censura di legittimità costituzionale. Non bisogna sorprendersi perciò se, di forzatura in forzatura, arrivi poi l’outing del Governatore della Campania che convoca 300 sindaci della regione per consegnare loro il “decalago” delle best practices su come conquistare voti al Sì nel Referendum. Tutte cose note sia ai protagonisti che agli osservatori. Ma delle quali – come osservò il presidente di Anm, Davigo – nessuno si vergogna più. Per questo è da sepolcri imbiancati sorprendersi che il Paese si divida anche sulla Costituzione. Il 29 novembre scorso, sempre Yascha Mounk ha scritto in un’analisi per NYT che la teoria dei politologi sul “consolidamento della democrazia” si basa sulla verifica che i Paesi che hanno sviluppato istituzioni democratiche, che hanno una forte società civile e un certo livello di ricchezza, hanno messo al sicuro la loro democrazia. In questo quadro, il punto di debolezza dell’Italia è proprio la società civile. Che non solo non è stata mai robusta (stiamo ancora aspettando il compimento dell’auspicio di D’Azeglio), ma rischia di sfaldarsi del tutto con questo Referendum. La corte del Principe si è distratta. Ha studiato bene le mosse per avvicinarlo alla vittoria. Ma ha perso di vista il bene maggiore: la coesione sociale. Così ora anche l’Italia rischia di finire nell’elenco delle democrazie in declino.