Salerno, il paese dei balocchi tra fate, elfi e Peter Pan

giostraI napoletani parlano solo di Napoli, noi salernitani non parliamo di niente. O meglio, parliamo di tante cose ma spesso senza sfiorare le questioni concrete e più spinose. Le lasciamo lì, inevase, vi sorvoliamo, come Totò in Miseria e nobiltà, noblesse oblige.  E anche quando le iniziative sono buone,  esse sembrano calare giù dall’iperuranio, fuori da più prosaiche bagattelle locali. Si inaugura stamattina "Gate Salerno". Non è la porta delle stelle  ma una soglia che apre all’ eccellenza, a progetti esemplari, economia, genius loci.  Una offerta di eventi sul “rinascimento urbano”, idee, progetti per la città, competitività economica, rigenerazione dei territori. Molta carne in cantiere, anche di buona qualità, con il corollario di due concorsi internazionali: uno per installazioni che rifanno il verso alle “Luci di artista”, vinto da “Ombre di artista” (stesso nome delle meno ambiziose, ma più ficcanti,  installazioni estemporanee del gruppo Gerico poi rimosse dal Comune)  e un altro bando più specifico per la riqualificazione  del “Parco del Colle Bellaria” che preveda la sostituzione dei vecchi tralicci esistenti e inquinanti. “Un’occasione, recita il comunicato stampa, per confrontarsi con autorevoli esperti del settore e costruire un patrimonio di idee, progetti e realizzazioni per Salerno, Ravello, la costiera Amalfitana e la Provincia” e quindi una utilizzazione di fondi POR (punto non meglio precisato) per completare il restauro del complesso S. Sofia nel centro storico di Salerno (chi, come, quando?).  Un progetto dalle ottime intenzioni, avviato da importanti studi di architetti cittadini (New Italian Blood, Effetti collaterali) che però tralascia una  riflessione, forse necessaria,  su una città che ha fatto dell’architettura una sua problematica bandiera, sulle questioni,  non proprio insignificanti che in molti  hanno sollevato, dal consumo di suolo, alla brutta proliferazione di costruzioni in periferia, alle grandi opere incompiute, alle colline abbandonate, per non dire del “palazzaccio”  al porto che sta ormai assurgendo a rovina contemporanea, su cui solo pochi giorni fa si è tenuto un altro incandescente summit. Tutto questo scorre sotto gli impalpabili e pietosi velari delle ombre d’artista sospese a via Duomo, il resto è silenzio. Liberi gli architetti salernitani di dedicarsi a più nobili impegni ma a noi ci viene in mente Collodi e  quel paese che è il più bel paese del mondo, dove è sempre vacanza, una vera cuccagna, il Paese dei balocchi. Quello per cui  un estasiato e già sedotto Pinocchio chiede incredulo: ma davvero è così? E l’ignobile Lucignolo conferma, sì, vieni, ci balocchiamo dalla mattina alla sera. E così  ci trastulliamo noi, con le Porte spalancate verso l’Universo, il Crescent come la siepe di Leopardi, spettacoli teatrali dal nome emblematico, ”Faciteme sta cujete”;   dimenticando le imprese chiacchierate nei cantieri, i geometri inquisiti, i debiti fuori bilancio, i rifiuti del centro storico, uffa, che barba che noia. Siamo un popolo di santi e navigatori, come il babbo del consigliere comunale Cascone che con la sua associazione “Navigatori del sapere”, regolarmente sostenuta dal Comune, organizza viaggi  temerari per portare Vincenzo in groppa a Ciriaco a volare, come Astolfo sulla luna,  verso gli spalti di Santa Lucia. Perché tutto fa brodo nella campagna elettorale continua di Salerno,  venerati maestri irpini, cosentiniani della prima ora, autori di dossier, destra e sinistra  la qualunque,  ma noi ci consoliamo con l’arte, come la prossima  Biennale d’arte di Salerno, manifestazione al cui confronto i  veneziani si debbono andare a nascondere. Duecentocinquanta euro a cranio (d’artista), tanto costa partecipare alla kermesse, mica come a quella di Venezia dove gli artisti sono scelti da curatori, roba vecchia, qui basta pagare e si partecipa, senza tante storie, con tanto di comitati scientifici e giurie, sigle e bandierine di tutto il mondo che si frusciano tra Palazzo Fruscione e, ancora, Santa Sofia. Centinaia, migliaia, che dico, milioni di artisti che fanno mostre, vernissage, inaugurazioni,  senza distinzione di sorta,  coccolati e viziati da critici, art director e mecenati del centro storico. Una città di beati bricoleurs, quelli della politica che tacciono sopraffatti dalla voce cavernosa del padrone che parla e comanda da solo e si lasciano prendere a pesci in faccia anche in casa propria (vedi comizio alla Camera di Commercio); quello di lucignoli organizzatori che invece di chiamare le cose con il loro nome,  trattano i salernitani come grulli delle favole.  Tutto è bellissimo nella città dei balocchi, con le fate, gli elfi, le slitte, Cenerentola e Peter Pan che svolazzano sopra le nostre teste, in un idillio lappone - mediterraneo, con le renne che fanno capolino tra le palme, cime innevate dietro il Crescent, foreste di ghiaccio e mitologie ugro-finniche che dalla Norvegia calano in quel di Pastena  e aurore boreali come ad Anchorage. Lo stesso Crescent non è forse il frutto più peccaminoso della visione fiabesca che ha avviluppato Salerno, con quel modellino giocattolo similCogne con le lucette dentro? Un giorno come nelle migliori fiabe l’incantesimo si scioglierà, si vedrà che il principe è solo un rospo,  il Crescent sarà una sorta di rovina alla Piranesi, le fate mostreranno le dentature corrose da vecchie streghe ma intanto,  gaudeamus nel paese dei balocchi.