Salerno, capitale del vecchio sud

delucaLa vittoria bulgara del sistema deluchiano a Salerno, non fa più notizia. Dura da troppo tempo, è un rituale ripetitivo e anche cambiando l’ordine delle persone, dà sempre il medesimo risultato. Fa notizia l’affermazione dei 5 stelle a Roma, la caduta verticale del Partito democratico, una,  sia pure timida, ricomparsa della sinistra. Quelle situazioni che stanno mutando gli equilibri di forza, con nuovi soggetti in campo contro le abitudini incancrenite del potere politico italiano. Salerno rischia invece,  con il suo immobilismo, di trovarsi al di fuori del dibattito politico e d’altra parte non si comprende perché mai una città di 130 mila abitanti del Sud – a parte per chi la abita - dovrebbe essere al centro del dibattito nazionale. Il guaio è che qualche volta lo è stata,  perché il suo protagonista principale, l’artefice massimo della vittoria bulgara,  è riuscito a esportare una immagine meritevole di attenzione proprio in quanto eccezione meridionale. Si è giunti così al paradosso di una ottima fama fuori confine e una forma di governo in “loco”, paramedievale, con un patto concordemente siglato tra amministratori e cittadini, di protezione e fedeltà. Del resto a chi garantisce (o può garantire un domani) il posto di lavoro, l’apertura di un negozio, il cliente dello studio, un contributo, il posto letto e via dicendo,  ci si sottomette volentieri, convinti della bontà di questo sistema,  tanto da non concepirne altri. Il signore amministra tutto quanto c’è da amministrare per tutti gli abitanti del villaggio, impone tasse e pedaggi  ma solo per garantire benessere a tutti, e se in queste condizioni il ricambio sociale, l'ascesa di gruppi e di individui è difficile, pazienza, prima o poi verrà il proprio turno; così pazienza se a godere di maggiori privilegi sono i diretti vassalli e valvassori, se la sono faticata e se lo meritano. Quando Gramsci scriveva della “quistione meridionale” certamente non immaginava che eredi del partito che aveva fondato,  utilizzassero le “arti della guerra” imparate nelle scuole delle Frattocchie per costruire dei sistemi di stampo feudale. E nemmeno Salvemini, con tutto il suo pessimismo, avrebbe potuto ideare tale scenario. Fino a qualche anno fa erano infatti questi i due temi, intrecciati tra loro come serpenti innamorati, che attiravano le discussioni, la questione meridionale e il familismo amorale. Oggi  il borgo su cui Edward C. Banfield scrisse “The Moral Basis of a Backward Society “ (“ Le basi morali di una società arretrata”) fa parte dei borghi ameni italiani e nessuno più lo ricorda. Insomma se da più di una generazione una città del sud perpetua quel modello arcaico,  non possiamo certo continuare ad accarezzare l’idea di una società oppressa e vittima a cui bisogna solo aprire gli occhi; né tantomeno ci si può ancora cincischiare sulla  storica questione delle classi dirigenti meridionali. Oggi a Napoli Bassolino addenta la Valente per la crisi del partito, dimenticando di esserne stato il primo e più avido rottamatore. Lo stesso vale per De Luca che il Pd se l’è sbranato. E  se Renzi si sveglia e davanti a tanta rovina si accorge che il partito è scomparso, se l’è cercata, visto che lui stesso è venuto a rendere omaggio sugli spalti della Marina d’Arechi al campione del 72%.  Insomma siamo di fronte al solito vecchio “blocco” fondato sulla spesa pubblica, si veda il successo che ha avuto la reclame del miliardo per Salerno e non è un caso che negli incontri con l’ l’establishement locale, i giovani rampolli deluchiani abbiano  parlato più volte di Salerno come capitale del Sud. Se è di questo sud,  allora Salerno lo è, è il caso di dirlo, a pieni voti, un avamposto modello di quella tipologia di classi dirigenti meridionali dei tempi di Gramsci e Salvemini. Se invece parliamo di un altro Sud, quello di una cittadinanza compiuta che fa parte di una nazione, servono nuove generazioni che non siano in alcun modo “eredi” di questo sistema.