Ruggero Cappuccio e le oche indiane

oche indianeSe è un’opera buffa che i lavoratori dell’Opera di Roma vengano salvati dal San Carlo,  come ha proposto De Magistris, cosa sarà mai la stagione lirica di Salerno?  Una farsa, una tragedia? Ruggero Cappuccio, (“Quell’opera buffa sull’asse lirico con la Capitale”, Il Mattino, 3 ottobre), tra i pochi nostri conterranei a capirne qualcosa, ricorda quelle oche indiane che sono tra gli uccelli a volare più in alto in assoluto, fin sopra l’Himalaya.  Si è certamente eccelsi ma si corre  il rischio di non scorgere più quanto accade a fondo valle. Molto prodigo di giudizi e commenti – tutti tra l’altro condivisibili – sul terremoto che si è abbattuto nel mondo della lirica italiana;  regista di lirica egli stesso, Cappuccio tace su quanto avviene nella sua città,  forse cosa troppo minuta perché lo sguardo si abbassi dalle vette himalayane. “Quanto si sono preoccupati i nostri politici, dice il nostro, di rafforzare l'educazione musicale nelle scuole? Come avvicinare un giovane senza soldi in tasca ai cenotafi lirici ornati troppo spesso del loro pubblico autoreferenziale? “. Giusto, peccato che non ci sappia dire che cosa si faccia a Salerno per avvicinare i giovani al “cenotafio” salernitano, dove un biglietto  ridotto per un palco di quinta fila costa 40 euro. Né se in un bilancio comunale quattro milioni per la lirica siano troppo o troppo pochi; se sia giusto che a questa spesa non concorra nessun altro se non il Comune, a differenza di quanto accade in altre città dove è l’intera comunità, finanziaria e imprenditoriale, a partecipare; né come mai, un teatro di tradizione, attuale forma giuridica del Verdi,   non sia quel centro di formazione e sperimentazione che il riconoscimento prevede. Insomma, siamo bravi a commentare quanto accade roberto_herlitzkain giro per l’Italia ma non vogliamo sapere cosa succede in casa nostra; perché mai ad esempio un’opera come la “Turandot” costi 600mila euro e la “Manon Lescaut” 500mila, come si arrivi a  queste voci,  così come  nulla si sa di incassi e spettatori che comunque, stando alle Siae, sembrano alquanto esigui.  E se questo accade nella lirica,  per la prosa – che pure dovrebbe stare a cuore all’autore di “Shakespea- Re di Napoli” - il cartellone è organizzato secondo pure logiche annuali di distribuzione;  per cui può capitare un anno una stagione con Servillo, Pippo del Bono, Paolini, e un altro con De Sica, Salemme, Ferilli.  Come può anche capitare che una piccola deliziosa rassegna “Per voce sola”, organizzata in totale autogestione dal giovane Vincenzo Albano  che ospita teatro contemporaneo, non trovi posto al  Ghirelli dove sarebbe naturale, ma nel teatrino amatoriale gestito dallo stesso consigliere di quella Fondazione comunale; la quale si chiama “Salerno contemporanea”  ma le uniche cose contemporanee che ospita sono quelle che si fanno a Napoli.  Tace un artista di valore come Cappuccio di una città dove quei pochi che hanno prodotto teatro contemporaneo sono stati ridotti al silenzio, alla fuga o ad appoggiarsi al teatro amatoriale,  ampiamente sostenuto dai nostri amministratori.   Lo stesso Cappuccio ha fatti vari tentativi, di fare di Salerno un luogo attento al teatro contemporaneo; fu proprio lui insieme a Franco Coda a portare anni fa Leo De Berardinis al Verdi;  o ad aprire e in breve tempo a chiudere la sala Sait di via Mercanti; può darsi che questi fallimenti e la “sordità” di una istituzione che si limita ad ospitare in cartellone uno spettacolo di Cappuccio ma a non dargli altro spazio, siano oggi le ragioni  di scegliere un opportuno quanto comprensibile silenzio. Ma chi va in scena ha una responsabilità in più, diceva proprio il grande Leo, perché si rapporta con la forza di una collettività intera. Forza e collettività che dalle parti nostre sembrano irrimediabilmente perdute.

Nella foto Roberto Herlitzka, in scena in marzo al Verdi con "Casanova" di Ruggero Cappuccio