Ruccello, ci manchi

annibale-ruccelloTrenta anni fa moriva Annibale Ruccello. Placata la “stesa” di articoli e commemorazioni, è il caso di ricordare questo autore che perse la vita un giorno di settembre dell'86 sull’autostrada, al ritorno da Roma, colpa di una ruota scoppiata che lo aveva rimbalzato sul duro asfalto. Aveva trenta anni, un grande talento e tante belle speranze. Dopo i primi spettacoli a Napoli come “Le cinque rose di Jennifer” aveva subito destato l’interesse dei critici e degli spettatori. "Jennifer" era uno spettacolo audace per quegli anni, la storia di un travestito che parla al telefono con amanti immaginari,  mentre una radio libera mescola canzonette di Mina e Patty Pravo con avvisi di un assassino che circola nel quartiere e uccide i travestiti. Uno spettacolo che già racchiudeva temi a lui cari, gli slittamenti dell’identità sessuale, il vero e il falso dell’amore, i media che facevano da tappeto sonoro alle storie private e ne alteravano significati e linguaggi. Dietro c’erano studi importanti, approfondimenti di materiali letterari e antropologici. E c’era la terra in cui era nato, una Castellammare che aveva già dato i natali ad un altro grande come Raffaele Viviani e da cui, Libro Ruccellodiceva, guardava da lontano la città e le sue luci; una condizione periferica vissuta quasi come un privilegio, come luogo di creazione artistica che preservava uno sguardo distante e nitido. Dalla sua postazione Ruccello vedeva quelle che lui chiamava le “catastrofi del linguaggio”, le dissoluzioni delle lingua  indotte dai media che generavano trasformazioni profonde,  alterazioni semantiche e sentimentali e conducevano i personaggi da un’apparente normalità a scivolare in abissi ossessivi di rabbia, odio, ferocia; vedeva come la televisione aveva trasformato gli individui in seguaci di sette effimere e misteriose, in drogati di congreghe del successo, in adoratori dell’apparenza fugace della notorietà. Vedeva aloni luminosi od oscuri  intorno alle facce dei suoi personaggi che come in un quadro di Bacon si degradavano  moralmente e fisicamente nei loro connotati. La riproduzione ossessiva, il consumo, lo  svuotamento di senso: in  pochi hanno compreso il forte impatto postmoderno delle  opere di Ruccello che hanno descritto come la pubblicità, l’accumulo di messaggi, la ridondanza di informazioni,  avessero  determinato la crisi della modernità e dell’individuo. Ne è un esempio tangibile "Mamme Piccole tragedie minimali" con una carrellata di donne attorniate da tanti piccoli "gremlins" che si chiamano Deborah,  Samantha, Pippo e Katia, Maurizio e Costanzo. Demoni di una emulazione a lustrini e quiz a premi come la banda che entra di soppiatto  - e la stravolge - nella vita di Adriana di giuliana-de-sio-350x323"Notturno di donna  con ospiti".  A Ruccello non interessava  rinnovare il linguaggio ma rappresentarne i mutamenti e mentre i gruppi più segnati dalla  vocazione "lyotardiana"  di quel periodo (Falso Movimento, Magazzini, Gaia  Scienza,  Martone, il primo Servillo, Barberio Corsetti) contaminavano in un incessante gioco di  rimandi, danza cinema,  teatro, fotografia,  musica con spettacoli come “Tango glaciale”,  “Crollo nervoso”,  Ruccello attingeva a piene mani nella letteratura meridionale, De  Roberto, Tomasi di Lampedusa,  e buttava tutto questo nel calderone dell’immaginario filmico americano degli anni ’50 come “Washington Square” (“L’ereditiera”)  di Wyler con Montgomery Clift e Olivia de Havilland, materiale che era stato prima romanzo, poi testo teatrale, poi film; e anche nel teatro americano come “Un tram che si chiama desiderio” tratto dall’opera di Tennessee Williams e poi film di Elia Kazan dove la seduzione malefica di Stanely Kovalski sembra l’antesignana del personaggio di "Ferdinando". Il cinema, il teatro, la pittura. Le sue donne, come Adriana di “Notturno di donna con ospiti” si affacciano solitarie dalle finestre di case desolate come in un quadro di Hopper, figure di donne smarrite sullo sfondo di periferie, con uomini assenti, quelle figure di “deportate”  che non fanno che sognare un sogno d’amore: Jennifer che aspetta la telefonata di Franco; Anna Cappelli, che adora e divora il suo ragioniere, Adriana hopperche uccide i figli come una povera Medea dell’hinterland. Ognuna di loro ha un "handicap", qualcosa che gli rode il cuore e l’anima; visibile come la zoppia di Ida di "Week end" o interiore come la depressione di Adriana, il travestitismo di Jennifer, l’inquietudine dell’impiegata Anna fino alla grande handicappata Clotilde che trascorre a letto i suoi giorni e dal giaciglio vomita invettive sul mondo  decadente che la circonda. “E’ come se da Verga o da De Roberto, scriveva Ruccello,  ( ma in qualche modo anche da Mann) passassimo senza accorgercene a Carolina Invernizio, a Collins, a Huysmans. E’ questo degradarsi della forma narrativa che va di pari passo con il degradarsi della vicenda e dei personaggi”. Annibale parlava di sé come di un artista vittima di un immaginario adolescenziale, turbato dai racconti popolari delle orride fiabe campane di Basile, affascinato dai paesaggi sperduti del cinema americano, ipnotizzato dalle grandi storie raccontate da James o da Proust. Era un autore della postmodernità ed è probabilmente questo suo aspetto a renderlo oggi un classico frequentatissimo da attori e compagnie, saccheggiato dalle filodrammatiche, oggetto di un culto che dopo trenta anni rimane intatto e ne fa parlare ancora con affetto e nostalgia come una insanabile perdita per il teatro italiano. E’ morto giovane ma ha fatto in tempo a lasciarci un repertorio completo, intatto, un’opera di straordinaria contemporaneità.

Nelle foto: Volume "Teatro di Annibale Ruccello" a cura di Luciana Libero, Guida Editori Napoli 1993; Giuliana De Sio in "Notturno di donna con ospiti"; Opera di Edward Hopper