Rocco Hunt e il ghetto salernitano

Rocco Hunt libro

Si chiama “Il sole tra i palazzi” ed è l’esordio editoriale di Rocco Hunt, un libricino pubblicato con Mondadori sull’onda del successo sanremese. Il ghost writer (neanche tanto ghost visto che il suo nome è in controcopertina) è il giornalista Federico Vacalebre. Appena si inizia a sfogliare il libro si rimane spiazzati dalla dedica iniziale: “Dedicato a me stesso che dopo ogni caduta mi sono rialzato. Ho scelto me”. Il primo pensiero è: ma non è troppo egocentrico Rocco? Poi, valutando gli atteggiamenti individualistici della scena hip hop, ci si rende conto che è solo un modo di presentarsi tipico dei rapper: la solitudine del poeta urbano di fronte alle difficoltà del contesto. Il contesto, appunto, è quello della periferia ghetto. Detta così può sembrare che Hunt arrivi direttamente da Compton in California, la suburra alle porte di Los Angeles. Questa città è nota per la forte presenza delle bande di strada, formate da afroamericani e ispanici, che hanno lasciato sull’asfalto decine di morti con una media di delittuosità otto volte superiore a quella nazionale. Compton è stata la culla del gangsta rap che alla metà degli anni Ottanta (grazie al successo dei N.W.A "Niggaz Wit Attitudes") portò all'attenzione pubblica internazionale il dilagare dei fenomeni criminali (collegati allo spaccio e all’abuso di crack) in quartieri connotati da forte indigenza economica. I loro singolo di maggior successo fu “Fuck tha Police”, che tradotto significa “Fotti la polizia”. Ma Rocco non appartiene al vortice di questo mondo diseredato, anche se si presenta come un bullo dal cuore buono che affonda le sue radici nel “cemento” del “ghetto”.

Così definisce il quartiere dove è nato e cresciuto, ovvero la “Ciampa di cavallo”, rione popolare, nel quartiere di Pastena, progettato da Bruno Zevi secondo i dettami dell’architettura degli anni Trenta, la cui principale caratteristica sono i mattoncini rossi a vista. Un’opera, a dire il vero, notevolmente superiore rispetto alle costruzioni realizzate successivamente nei quartieri Italia e Europa, anche perché l’edificio si estende delimitando una piazza centrale che ha la specifica funzione di agorà comunitario. Rocco, tuttavia, descrive il suo rione come un luogo dove i ragazzi non hanno futuro: “simmo guagliune senza chances”, condannati “perché nati dalla parte sbagliata della società, qualche volta semplicemente dalla parte sbagliata della strada”. Hunt si presenta al pubblico dei suoi lettori come un “giovane dei quartieri”; uno dei tanti ai quali è stata concessa l’occasione di tirarsi fuori dal “ghetto”. Il rap, allora, è più di una passione, è una strategia per agguantare il futuro, così come la scuola lo è per i figli dei borghesi. Ed è proprio questo che si intuisce dalle parole di Rocco: l’orgoglio di essere figlio di gente povera ma per bene. Grazie ai valori familiari è riuscito a sottrarsi ad un destino di marginalità: ha lasciato la scuola non per spacciare o rubare ma per andare a lavorare e fare musica. Così inizia la sua carriera di pescivendolo rapper. Che poi questa affermazione del “pisciaiulo” nel panorama della canzone italiana sembra quasi l’epopea della salernitanità elevata a categoria dello spirito. Si scopre, inoltre, la matrice di base dei sui testi: le canzoni napoletane classiche e quelle neomelodiche. Un indizio fondamentale per comprendere il suo rap melodico: un misto di sceneggiata e incazzatura neo-metropolitana. “Il mio accento – scrive – non era più soltanto salernitano, ma napoletano, campano, sudista”. In origine, però, i testi sono tutti incentrati sulla sua città, quella “Zona Orientale” che si snoda tra il rione “Santa Margherita, il bar Pacifico, il bar Mexico 70” e la scuola media Quasimodo, dove qualcuno ha avuto simpatia per lui: “ha capito che se non mi piaceva studiare… era perché mi divorava una passione frenetica, perché stavo crescendo troppo velocemente per quei banchi”. Una passione che derivava dalla “rabbia” verso “un malgoverno endemico, a livello locale e nazionale, sia chiaro”. Così è nato il primo video girato nella “Ciampa” e prodotto dal barbiere del rione che “conosceva sempre le crew del momento”. Dal libro emerge, inoltre, il contesto familiare: una madre molto giovane ma quadrata, un padre operaio precario, devoto - come tanti - di Padre Pio (di cui ha tatuato il volto sulla schiena), preoccupato per quel ragazzo ossessionato dalle rime ritmate e un fratello di dodici anni già writer appassionato. Anche Rocco ha cominciato con le bombolette spray coniando il suo marchio “Hunt”, divenuto, poi, il suo brand. Un’etichetta che significa caccia contro l’ingiustizia della marginalità in un contesto in cui la gioventù sfiorisce rapita dalla legge della strada: “Se non vieni dalle strade non sai di che parlo/ non ho mai vinto un cazzo senza meritarlo/ e questa gente mi rispetta, sono cresciuto in fretta/ avevo quindici anni sembrava che ne avessi trenta”. Ma quando tutto sembra filare liscio, come in un ricordo infantile, arriva un sbocco di collera popolana che salva il racconto dalla piega agiografica: “Anche nella mia città ci stanno i soldi, anche a Salerno… c’è un centro e una periferia. Io ero a disagio il sabato sera se andavo sul corso chiattillo… Nel mio quartiere, nella mia generazione, sono l’unico finora ad avere avuto una chance: di solito anche per un posto di spazzino devi vendere l’anima e non solo, entrare nel sistema del lecchinaggio del potere. Non amo quelli che chiamo ‘i marcioni comunali’, gente che campa sui favoritismi e che ha fatto del servilismo una regola di vita. Non voglio attaccare il sindaco… Il problema è un altro, i dottori fanno i figli dottori, gli avvocati fanno i figli avvocati…”. Se questo pensiero, condivisibile, l’avesse scritto un opinionista locale sarebbe stato additato come il solito “disfattista”. Vorrei, tuttavia, farvi riflettere su una frase del rapper: “nella mia generazione sono l’unico che ha avuto un chance”. Rocco è nato nel 1994 ed è uno di quei ragazzi tra i diciotto e i ventidue anni che hanno vissuto, solo e soltanto, la lunga stagione dei “Progressisti per Salerno”, ovvero di quella maggioranza che vanta la realizzazione di un insuperabile modello di amministrazione locale. Eppure, a quanto scrive Rocco, non pare che il “Modello Salerno” sia stato in grado di creare opportunità di crescita civile e professionale per le nuove generazioni, le cui aspirazioni sono mortificate dalla casta dei “marcioni comunali”. Senonché quello che sembra un rimprovero idealista da parte di un’artista ormai famoso diventa, più avanti nel testo, un richiamo preciso alle responsabilità del governo locale: “Alla Ciampa ci sono tornato… il Comune ha investito non per pagare il mio concerto-festa… ma per un nuovo arredo urbano… Fino a poche settimane prima era tutto trascurato, c’erano fogne a cielo aperto e il manto stradale dissestato. Sono orgoglioso di essere stato concretamente utile alla mia gente, alla mia città, ma mi sento anche frustrato: se un diciannovenne non vince Sanremo, nel suo quartiere deve rimanere sempre tutto una merda come sempre?”. E se lo dice Rocco Hunt bisogna credergli. Alla fine, dopo aver letto il libro, sono rimasto interdetto perché mi sono domandato: Rocco sta mentendo o qualcun altro che ci ha preso in giro? Qual è la vera Salerno? Non sapendo, in verità, dare una risposta, preferisco augurare buona fortuna al “pisciuaiolo” più famoso d’Italia.